Domenica delle Palme, Settimana Santa e Lunedì 5 Aprile

C’è una scuola, resa obbligatoria dalla vita, che prima o poi dobbiamo frequentare: la scuola della sofferenza, di quei momenti che possiamo giudicare inutili, sprecati, e che invece ci permettono di crescere. L’ingresso nella settimana santa costituisce proprio l’inizio di questa scuola e ci permette di rileggere quei tempi di sofferenza che di tanto in tanto siamo chiamati ad attraversare.

Isaia, nel capitolo 50 ci parla di un servo che diventa discepolo, cioè impara da un maestro. Dio è il maestro che ogni mattina apre l’orecchio del discepolo e gli insegna a diventare servo, un percorso che passa appunto attraverso l’accoglienza della sofferenza nella propria vita. Ma il Signore è un maestro che non lascia solo il discepolo, lo assiste, lo accompagna, perché ne conosce la debolezza.

La lettera ai Filippesi ci ricorda anche che è Gesù il primo a farsi servo e a entrare nella scuola della sofferenza: assume la condizione di servo e si fa obbediente fino alla morte. La sofferenza non è un incidente di percorso, ma è quell’occasione di grazia, mediante la quale possiamo crescere nella relazione con Dio.

Tra queste due letture, si colloca il Salmo 21. Nella sofferenza la fiducia in Dio è messa alla prova. Chi soffre si sente solo, la sofferenza è sempre personale, non è mai uguale alla sofferenza di un altro. Anche Gesù ha sperimentato la solitudine della sofferenza, una solitudine che ci chiede di abbandonarci nelle braccia del Padre proprio nel momento in cui ci sentiamo abbandonati.

Gesù sulla croce porta a compimento quanto anticipato nel Cenacolo: questo è il mio corpo. La grande fatica dell’uomo è la disponibilità a stare nella sofferenza, cerchiamo in tutti i modi di fuggire. Mentre Gesù consegna sé stesso, Giuda, al contrario, si illude di evitare la propria sofferenza, facendola ricadere sull’altro.

La sofferenza ci fa paura, la consideriamo uno spreco, vorremmo impiegare in altro il nostro tempo e le nostre energie.

La sofferenza invece è un momento di verità, fa emergere le relazioni così come sono. Ci sono: coloro che ci abbandonano e ci lasciano soli, coloro che vorrebbero affrontarla con la violenza di una spada, coloro che approfittano di quella sofferenza, inveiscono, esasperano, ci giocano. Se vuoi conoscere una persona, guardala mentre sta davanti alla tua sofferenza.

Nella nostra sofferenza c’è anche chi, come il Cireneo, ne viene coinvolto suo malgrado. Perché la sofferenza non è mai solo nostra, non rimane rinchiusa dentro un contenitore personale, ma inevitabilmente contamina la vita degli altri.

Ma ci sono anche coloro che rimangono sotto la nostra croce e non si allontanano, chi trova un coraggio che non pensava di avere, come Giuseppe di Arimatea, che espone la propria vita, andando a chiedere il corpo di Gesù. Il coraggio è uno dei frutti della sofferenza.

C’è una pietra che apparentemente sembra mettere la parola fine a questa storia. Invece, la sofferenza ha messo in moto un cammino, un fiume di amore che non si ferma. Gesù ce lo ha ricordato più volte, ma non sempre ricordiamo la sua parola: il chicco di grano è avvolto dalla terra, ma molto presto fiorirà e la messe sarà abbondante. Allora, finalmente, potremo tornare a gioire!

Chiediamoci allora: riesco a vedere la presenza di Dio anche nei momenti difficili?

domenica delle palme

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