Fogleitto settimanale dal 3 al 10 Ottobre 2021

Ti distruggo! La perversione della natura umana

Il volto dell’altro ci interpella, a volte infastidisce, mette in crisi, ricorda il nostro fallimento. Ecco allora che siamo tentati di possederlo, di manipolarlo, di controllarlo, e quando non riusciamo, mettiamo in atto meccanismi per distruggerlo. I nostri conflitti nascono generalmente dal tentativo di mettere le mani sull’altro: di fare dell’altro quello che voglio, di usarlo, di disporre della sua vita. La natura dell’essere umano è inevitabilmente relazionale: MA siamo fatti per costruire relazioni, non per distruggerle.

Il libro della Genesi, che ci mette davanti alle questioni fondamentali, questa domenica prende come modello la differenza e la relazione tra l’uomo e la donna.

Fino a questo punto tutto ciò che Dio aveva creato era buono, ed ora il libro della Genesi ci invita a riflettere su una frase: «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). L’uomo per vivere ha bisogno della relazione, è fatto di relazione, ha bisogno di un aiuto. Nella solitudine infatti non c’è vita! La relazione è un aiuto fondamentale, necessario, senza il quale si muore, nemmeno il potere può risolvere il dramma della solitudine dell’uomo: per quanto egli si illuda, continua a essere infelice. Dio concede all’uomo la possibilità di dare un nome agli animali (Gen 2,19): nella cultura ebraica dare “il nome” significa possedere, comandare, fare dell’altro una mia proprietà. L’uomo anche se padrone è infelice!

L’essere umano si realizza solo se ha qualcuno davanti a sé (Gen 2,20): ha bisogno di uno che gli risponda. Questo è per la Genesi il senso della duplicità insita nell’umanità: maschio e femmina. Quando ci isoliamo, e non ascoltiamo più nessuno, ci chiudiamo nel nostro mondo, quando vediamo l’altro sempre e solo un nemico, tradiamo la nostra dimensione umana!

Nel testo di Genesi notiamo un’altra sfumatura importantissima: nessuno dei due esseri viventi conosce l’origine dell’altro, non sa da dove viene: l’uomo è addormentato quando Dio crea la donna, la donna non era presente quando l’uomo veniva creato.

La Genesi ci rimanda a un’origine comune: la donna, l’alterità per eccellenza, è tratta dal fianco, come se fosse l’altro lato della stessa umanità. Siamo un’unica carne: fare male all’altro è fare male a me stesso. L’altro non è mai in mio possesso perché non lo conosco fino in fondo e non posso farne ciò che voglio.

La Lettera agli Ebrei, rimanda proprio a questa origine comune, rendendola ancora più radicale: «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine» (Eb 2,11). Siamo salvati per mezzo di Gesù proprio perché egli ha assunto questa nostra umanità.

Il salmo 127, a sua volta, canta la complessità della vita, dove la fatica e la felicità stanno insieme dentro le dinamiche relazionali: «Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e vivrai di ogni bene» (Sal 127,2).

Purtroppo la difficoltà di riconoscere e vivere la relazione con l’altro senza sottometterlo e senza approfittarne attraversa ogni epoca, la nostra come quella di Gesù.

Gesù, infatti, rimanda al testo della Genesi, per affrontare il problema della violenza sul più debole, di chi si trova in una posizione svantaggiata: dopo il tema del ripudio della donna, Gesù difende i bambini, chiamandoli a sé e sottraendoli al rimprovero degli adulti. Le donne e i bambini sono il simbolo di tutti coloro che in diversi contesti sono i deboli, coloro su cui ricade la violenza del potere, l’abuso della forza, molte volte nascosto anche dietro intenzioni di giustizialismo.

Gesù condanna il ripudio della donna perché era diventato uno strumento che lasciava la donna senza diritti, esponendola ulteriormente a essere sfruttata. Molto spesso anche oggi, il più debole non è tutelato, è lasciato senza diritti. Oggi, più che mai siamo chiamati ad alzare la voce, a difendere chi è veramente il più debole, chi è senza diritti, solo così le nostre relazioni potranno essere autentiche.

Chiediamoci allora: Mi prendo cura di chi è più debole oppure approfitto delle debolezze degli altri?

Sono disposto a mettermi in gioco (compromettermi) per difendere chi è più debole?

XXVII Domenica T.O

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