Foglietto settimanale dal 10 al 17 Ottobre 2021

L’indecisione che spegne la vita

Ci manca sempre qualcosa, spesso siamo insoddisfatti, talvolta non sappiamo nemmeno noi esattamente quello che vogliamo. Alcuni trascorrono la vita arrabbiati per quello che non hanno, altri si limitano a ripetere e ad eseguire quello che altri gli dicono di fare, altri per fortuna, si mettono a cercare: non è detto che trovino quello che vogliono, ma certamente si sentono vivi perché sono in cammino.

Se questa è la condizione fondamentale della nostra vita, capiamo bene perché il dono da chiedere, come Salomone ha intuito, è quello della prudenza (Sap 7,7). Si tratta di una forma particolare di saggezza, in altre parole è il dono del discernimento: posso avere davanti a me anche tante cose buone, ma non tutte mi aiutano in questo momento della mia vita.

La nostra vita terrena non è infinita, e la vera saggezza sta nel rendersi conto di questo limite: abbiamo bisogno di scegliere cosa vogliamo farne del nostro tempo. Il Salmo 89, ci dice che la saggezza consiste nella capacità di contare i nostri giorni, non per spaventarci, ma per prendere in mano il nostro tempo e decidere come impiegarlo.

La vita, diceva Seneca, non è breve, ma appare tale solo a chi non sa come impiegarla!

Fonte di questa sapienza è la Parola di Dio, senza l’ascolto di questa Parola non può esserci né discernimento né vera saggezza. La Lettera agli Ebrei usa l’immagine della spada per indicare l’effetto della Parola: la spada taglia e scende in profondità e questo è il compito proprio del discernimento. Decidere ha infatti la stessa radice di re-cidere, tagliare: scegliamo veramente infatti quando siamo disposti a tagliare con altre possibilità!

La Parola di Dio, permette di discernere sentimenti e pensieri: capire da dove vengono quei pensieri che suscitano in noi gioia o tristezza.

Gesù aiuta un uomo a percorre questo cammino di discernimento, ma il protagonista, almeno per ora, non riesce a scegliere e se ne va triste. La tristezza è il segno visibile della nostra incapacità di tagliare, di potare il ramo, affinché porti più frutto.

Quest’uomo viene indicato con “un tale”, come se non avesse un’identità, non sa bene chi vuole essere. Ha passato la vita a fare quello che gli altri gli hanno suggerito o insegnato. È alla ricerca di consigli. Ha cercato di imitare le persone perbene, eppure si è scontrato con lo scandalo dell’infelicità: non è arrivato a essere felice, non ha trovato la vita eterna, cioè la vita piena.

E allora va da Gesù per carpire un ulteriore consiglio, forse un segreto, qualcosa in più da eseguire, non gli interessa la relazione con Gesù, ma solo la sua saggezza. Mette davanti a Gesù i suoi trofei, le sue ricchezze, i suoi successi, forse anche i suoi sacrifici. Gesù gli indica una direzione diversa in cui guardare: Gesù guarda dentro di lui. Il verbo usato da Marco non è un fissare, ma un guardare dentro. Nell’interiorità Gesù vede la fragilità che nasconde, la debolezza, il desiderio di essere amato. Guardandolo dentro Gesù lo ama, lo ama a prescindere, lo ama prima che abbia accettato o meno la proposta che gli farà. È bello pensare che Gesù ci guarda dentro e ci ama a prescindere dai nostri successi o dai nostri errori.

Gesù suggerisce dei verbi che possono trasformare la vita e portarlo verso quella felicità che sta cercando. Lo invita a vendere e a dare, cioè a non attaccarsi a quello che ha, a non lasciarsi bloccare dalle sue false sicurezze, lo invita a liberare il cuore, solo così potrà scoprire quello che desidera veramente. L’altro verbo fondamentale è seguimi: gli propone una relazione. Quest’uomo però, non ha il coraggio di rischiare, preferisce chiudersi nei propri bisogni, si attacca alle sue sicurezze, non si lascia amare e perciò se ne torna solo, triste, anonimo: solo quando ci lasciamo amare, ci sentiamo chiamare da qualcuno.

Gesù guarda dentro anche ai suoi discepoli, e anche loro che stavano già seguendo Gesù, in realtà non hanno mai lasciato veramente quello che possedevano: le loro ragioni, le loro aspettative, le attese, le pretese…Si può seguire Gesù, ma avere il cuore altrove.

Per questo, anche noi, a volte rimaniamo tristi, perché il cuore è occupato da altro e non ci lasciamo amare fino in fondo. Lasciarsi amare è sempre un rischio, perché occorre fare spazio allo sguardo di un altro.

Camminare dietro a Gesù è un cammino progressivo di liberazione fino a quando, finalmente, saremo in grado di attraversare la cruna dell’ago!

Chiediamoci allora: Se Gesù mi guardasse dentro, cosa vedrebbe? Cosa devo lasciare per seguire più radicalmente Gesù?

XXVIII T. O

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