Nessuna vita è sbagliata. Non distruggere, ma trasforma!
Quando attraversiamo momenti difficili o quando siamo delusi, ci chiediamo perché proprio a noi stia succedendo tutto questo, oppure quando per tanti anni ci trasciniamo dietro situazioni faticose, ci chiediamo se ne valga ancora la pena. Ma la vita continua a consegnarci generosamente un compito: riconoscerlo è ciò che permette di dare senso alla nostra vita! Si tratta di un compito, di un impegno, non di uno stordimento: alcuni infatti pensano di dare senso alla loro vita riempiendola di cose, cercando magari nuovi stimoli, nuovo potere, nuove ambizioni, alcuni persino pensano di dare senso alla loro vita cercando nuovi nemici da distruggere. Tutte queste cose però lasciano vuoti e ci fanno entrare in una spirale di desolazione.
Cercare il compito che la vita ci consegna, invece, permette di vivere la vita con gioia anche nelle difficoltà. La gioia, che la liturgia di oggi ci invita a riconoscere (cf Sof 3,14), è quella che nasce in noi quando diciamo a noi stessi: questo è quello che voglio fare!
Ci sono poi le domande che vari personaggi pongono a Giovanni Battista: che cosa dobbiamo fare? Qual è il compito che Dio mi affida nella mia vita? Questa domanda ci interpella non solo come singoli, ma anche come Chiesa.
Nessuna situazione è senza speranza: Giovanni Battista ha una risposta persino per i soldati, i pubblicani, per coloro cioè che hanno a che fare con le armi, con i soldi sporchi, coloro cioè che sembrano esclusi da ogni possibilità di salvezza. Anche nella loro vita è possibile ritrovare Dio. Nonostante la sua radicalità, Giovanni Battista non li esclude dalla possibilità di cambiare, non ordina loro di distruggere la loro vita, ma li invita a trasformarla.
A volte infatti non possiamo cambiare le nostre situazioni, ma possiamo sempre trasformare il modo in cui le viviamo.
Giovanni offre risposte diverse perché diverse sono le situazioni concreta, ma tutte accomunate da uno stesso elemento: la solidarietà, la condivisione. Il compito che dà gioia è quello che ci permette di uscire dal ripiegamento su noi stessi: siamo tristi quando continuiamo a guardare solo al nostro interesse. Anche il peccato di Adamo nasce dalla volontà di tenere tutto per sé: il peccato ci illude, attirandoci in un delirio di onnipotenza, l’amore al contrario ci svincola dalla chiusura del nostro io. Il segno del peccato è la tristezza, quello dell’amore è la gioia. Possiamo crederci vincitori quando con cattiveria distruggiamo qualcuno, eppure dentro continuiamo a non essere contenti.
Abbiamo bisogno di prenderci cura della nostra umanità malata, malata di egoismo, di invidia, di cattiveria, solo allora saremo pronti per intraprendere un cammino nuovo verso Dio.
Cosa dobbiamo fare? Cominciamo a prenderci cura delle parti malate della nostra vita, di tutto quello che anzitutto ci impedisce di essere persone autentiche e oneste.
Chiediamoci allora: Qual è il compito che oggi il Signore mi affida? Da dove inizio il mio cammino di conversione?
Avvento_III - web