Dove stai andando? La vita come pellegrinaggio.
La vita è un grande viaggio che chiama continuamente a separarci dalle nostre sicurezze, per seguire quel desiderio, a volte incerto, che ci anima. Inevitabilmente la vita ci attraversa e gli incontri ci cambiano.
Il viaggio è anche un invito o un’occasione, a spezzare i legami che a volte ci bloccano, parte spesso da un desiderio che è un insieme di incertezza e determinazione. È come l’esperienza di Abramo, invitato da Dio a lasciare la casa di suo padre e a mettersi in cammino verso una meta non ben definita, ma è proprio in quel momento che la vita di Abramo finalmente comincia.
Marco ci dice che Gesù manda i discepoli a due a due, perché quello è il principio della comunità e anche perché in due è possibile sostenersi specie nei momenti di scoraggiamento e di sfiducia.
Interessante è il verbo usato da Marco: “Gesù cominciò a mandarli…”, come se quell’azione, iniziata allora, non si fosse mai conclusa. Il pellegrinaggio è la chiamata alla vita che siamo continuamente spinti a percorrere: sottrarsi al cammino è in qualche modo sottrarsi alla vita.
Gesù ci invita all’essenzialità, a non prendere troppo, a non portare quello che normalmente ci appesantisce, ci blocca, ci affatica. Il viaggio diventa anche un’occasione per liberarci, per spogliarci dalla rabbia, dal lamento facile e prendere una boccata d’aria nei confronti delle relazioni che quotidianamente ci consumano. Ma non solo!
Diventa l’occasione per imparare a chiedere, per scoprire una provvidenza segretamente nascosta nell’ordine delle cose, significa non comportarsi da padroni rispetto alla vita, non credersi autosufficienti, imparare a non bastare a noi stessi, e soprattutto ricordarsi di creare uno spazio in cui l’altro possa essere continuamente ospitato.
In Marco, a differenza di Matteo e Luca, il bastone è l’unica cosa che i discepoli possono portare, forse per allontanare le fiere (animali selvatici) presenti lungo il cammino, o forse perché rimando a quelle fiere che ci aveva presentato all’inizio del suo Vangelo, per descrivere le lotte intestine che ciascuno incontra quando decide di scendere nel deserto della propria vita.
È certamente vero che se le spalle sono appesantite, i piedi rifiutano di camminare, ma questa essenzialità, a cui Gesù invita, è anche sinonimo di povertà e sigillo di coerenza tra quello che i discepoli annunciano e quello che sono chiamati a vivere quotidianamente.
Il pellegrinaggio diventa motivo di meditazione e di interrogativi: quale stile voglio dare alla mia vita? Quale Dio voglio annunciare? Un Dio potente e autosufficiente o un Dio mendicante che cammina con l’uomo?
Marco non vuole indora la pillola: facile sarà trovare chi non fa spazio nella sua vita, chi ha paura di condividere, chi è stato ferito o ingannato da precedenti pellegrini, chi non è disposto al cambiamento…; il viaggio ci allena ad accogliere i fallimenti, le porte chiuse che inevitabilmente fanno parte della vita.
Dopo ogni pellegrinaggio, fermiamoci a fare una rilettura, a sfogliare l’album dei ricordi conservati nella memoria del cuore, come faranno in seguito i discepoli con Gesù.
Molto spesso invece, preferiamo archiviare i nostri traguardi piuttosto che scendere nella profondità dell’esperienza. Non passiamo da un’esperienza all’altra senza fermarci a rileggere l’esperienza e a raccogliere il frutto di quello che abbiamo vissuto!
Chiediamoci allora: Quali sono le cose superflue che il Signore mi chiede di lasciare per seguirlo meglio? In che modo la mia vita annuncia il Vangelo?
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