Lascia un po’ di spazio! Il vuoto non è un dramma.
(Ger 17,5-8 Sal 1 1Cor 15,12.16-20 Lc 6,17.20-26)
Tutti gli uomini desiderano essere felici ci ha lasciato scritto Aristotele sostenendo che la felicità (eudaimonia) è un fine da raggiungere, una meta da conquistare, e in un certo senso… chi più chi meno, siamo tutti figli di Aristotele.
Ci sforziamo di conquistare un po’ di spazio nel mondo: c’è chi scalpita più di altri, chi giunge persino a fare del male al prossimo nell’illusione che questo permetta loro di guadagnare molta più visibilità.
Altri ancora pensano che la felicità dipenda dal potere che hanno, senza pensare che è invece il potere a possedere loro, col rischio di cadere facilmente in una spirale che li rende sempre più assetati fino a portarli in molti casi all’autodistruzione.
Davanti a questi cavalli impazziti pur di raggiungere il traguardo della felicità, vediamo contrapporsi l’immagine serena di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua (Ger 17,8).
Gli stessi Vangeli di Matteo e di Luca, ci fanno toccare con mano come anche a Gesù stia a cuore rispondere subito, al quesito “come essere felici!” domanda che oggi come allora alberga nel cuore di tutti gli uomini.
Ma la risposta di Gesù a questa domanda è veramente rivoluzionaria, Gesù, al sostantivo eudaimonia usato da Aristotele, utilizza invece l’aggettivo macharios.
La felicità non è una cosa da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita.
Tutte le situazioni presentate nel discorso fatto da Gesù sono caratterizzate da una mancanza: siete felici quando non avete niente, quando piangete, quando vi odiano, quando vi insultano… Felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio; in quel momento è solo Dio la loro sola ricchezza, la loro consolazione, la loro difesa: felici perché sono nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della loro vita.
Possiamo capire ancora meglio questa affermazione, aiutandoci con la seconda parte del discorso di Gesù nella versione di Matteo: coloro che sono ricchi, che sono sazi o che hanno motivi per ridere, coloro di cui tutti parlano bene, facilmente si dimenticano di Dio, perché il loro “io” occupa tutto lo spazio della vita tanto da escludere completamente Dio dalla loro esistenza! Bellissima è l’immagine proposta da Geremia “sono come tamerischi nella steppa”: ben presto si accorgeranno di essersi ormai seccati!
Non è un caso allora che sant’Ignazio di Loyola indicando i gradini che portano alla perdizione pone al primo posto la ricchezza seguita dalla vana gloria e dalla superbia.
Permettete di fare una precisazione molto importante: parlando di ricchezza non ci riferiamo solo al possesso di beni terreni quanto piuttosto alla pienezza di sé, all’illusione di poter fare a meno di Dio, condizione molto diffusa tra coloro che occupano posti di potere, di autorità, o che rivestono ruoli per i quali sono riconosciuti.
Ricchezza che fa sentire “onnipotenti”, vana gloria che illude di “essere qualcuno”, superbia, che porta ad “escludere Dio” dalla propria vita.
Mi piace concludere facendo notare che nella versione di Matteo, Gesù sale su un monte per parlare alla folla, mentre Luca pone Gesù in un luogo pianeggiante dove, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi.
Gesù non ci guarda mai dall’alto in basso, anzi si posiziona più in basso, parla alzando gli occhi al cielo perché, mentre vede le nostre miserie, sta già pregando anche per noi.
Chiediamoci allora: Per me cosa vuol dire essere felice? Quale spazio offro nella tua vita a Dio?
VI_Tempo_Ordinario