Foglietto settimanale dal 16 al 23 Gennaio

C’è sempre qualcosa che viene a mancare: dramma o occasione?

Sposarsi è una scelta molto coraggiosa, significa accettare un rischio, giocarsi la vita sulla parola di un altro; un altro che può cambiare, tradire, morire o decidere di andarsene. Si tratta di una rinuncia all’integrità del proprio spazio, essere tirati fuori dalla tentazione di pensare solo a sé stessi. C’è sempre un altro che mi ricorda continuamente che non ci sono solo io.

Solo se abbiamo in mente la radicalità del dono che c’è in una relazione coniugale, possiamo comprendere perché Dio si presenti costantemente nella Bibbia come sposo di Israele e sposo dell’umanità.

L’immagine del matrimonio è infatti la metafora più utilizzata nella Scrittura per descrivere l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Anche il testo di Giovanni 2,1-11 sembra rimandare a questa relazione, sia per il riferimento temporale al “terzo giorno”, sinonimo di “giorno dell’Alleanza”, in virtù di quanto dice anche Osea 6,2 «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza», sia per le parole rivolte da Maria ai servi, che richiamano la risposta del popolo a Mosè in Es 19,8 «quanto il Signore dirà, noi lo faremo».

Il brano delle nozze di Cana apre una serie di immagini matrimoniali che percorrono i primi capitoli del Vangelo di Giovanni: in Gv 3,29 il Battista si definirà come «l’amico dello sposo» e in Gv 4 la Samaritana confesserà la sua inquieta “ricerca di uno sposo vero”.

Gv 2,1-11 ci introduce dunque in un terzo giorno, ma seguendo la scansione delle giornate proposta di volta in volta da Giovanni, ci accorgiamo che siamo giunti al settimo giorno ovvero al termine della ‘settimana tipo’ di Gesù presentata da Giovanni (vedi: Gv 1,29 «il giorno dopo…»; Gv 1,35 «Il giorno dopo…»; Gv 1,43 «Il giorno dopo…»; Gv 2,1 «Tre giorni dopo…»).

Giovanni vuole invitarci a diventare familiari di Gesù, a conoscerlo meglio. Alla fine di quella settimana, dopo avere camminato con lui giorno dopo giorno, si rivela, si fa conoscere come lo sposo: lo sposo, è colui che dona il vino migliore e solo il lettore sa da dove viene quel vino nuovo.

Cana è il primo dei segni nel Vangelo di Giovanni, segni perché sono degli indizi rivelativi che suscitano in noi la domanda su chi è Gesù. Giovanni, nel suo Vangelo, fa emergere l’identità di Gesù a partire dalle situazioni delle persone che lo incontrano.

Molto spesso, sono situazioni di mancanza, manca qualcosa: un desiderio sopito, una ricerca vacillante. Nel primo capitolo, Gesù risponde a un desiderio ingenuo dei primi discepoli: che cercate? Più avanti la Samaritana confessa il suo desiderio di essere amata: le manca un amore vero. Nel secondo capitolo questa coppia, come tante coppie, manca di quello che è necessario per fare festa. Non hanno più vino. Il vino non sta finendo, proprio non ce n’è più.

Sembra di rivedere quegli sposi che vivono momenti di aridità, che non sanno più cosa dirsi e non riescono neanche a chiedere aiuto.

Alcuni interpretano la mancanza di vino come un’allusione alla povertà della coppia, ma possiamo anche pensare che il vino sia finito perché gli sposi hanno invitato troppi ospiti alla festa della loro vita. A volte infatti le risorse finiscono perché si è stati particolarmente generosi, si dona tutto, si rimane senza niente, ma quel vuoto diventa l’occasione per ricevere un dono ancora più grande.

Chi trattiene il vino per sé, non si predispone a ricevere da Dio un vino di qualità migliore.

Lo sguardo di Maria è quello di una donna che sa riconoscere ciò di cui c’è bisogno. Nel Vangelo di Giovanni, Maria è presente solo all’inizio e alla fine, come a dire che lei è ovunque, sempre attenta ai bisogni dei suoi figli, sempre disponibile e pronta a chiedere a suo Figlio di entrare e cambiare la nostra vita.

Maria dice solo una cosa in questo Vangelo e forse è quella più importante: “fate quello che Gesù vi dirà”! La cosa più importante, ma non la più facile, soprattutto quando ci viene chiesto di riempire d’acqua le anfore mentre ci manca il vino.

A volte quello che il Signore ci chiede è davvero incomprensibile!

Non sempre siamo disposti ad accogliere l’opera di Dio nella nostra storia, molte volte siamo vuoti e duri come le anfore di pietra di cui parla il testo del Vangelo. Le anfore presenti per le abluzioni rituali, sono ormai vuote, ci evidenziano che quel modo apatico di vivere la religiosità non porta frutto. Il cuore si inaridisce.

Sei anfore come sei sono gli uomini di cui parlerà la Samaritana, sei come l’incompletezza che il Signore viene a colmare.

Alcuni Padri infatti vedono in queste sei anfore un rimando a una settima anfora: il costato di Cristo crocifisso da cui sgorgano sangue e acqua, così come il settimo e vero sposo per la Samaritana è Gesù che le parla.

La mancanza del vino necessario alla festa è uno dei momenti che una coppia può attraversare. La vita è fatta di momenti di entusiasmo e fatica, di condivisione e di incomprensione, ma è sempre un tempo in cui il Signore può entrare nella nostra storia e colmare il nostro vuoto. Anche il momento che gli sposi di Cana stanno vivendo è un tempo della storia: sebbene non sia l’ora suprema in cui il Signore manifesterà la sua gloria (l’ora della croce), è comunque un tempo di rivelazione.

Nella risposta di Gesù a Maria è espressa proprio questa relazione tra i momenti in cui Egli si rivela nella storia e la loro comprensione. In tutte le ore della vita in cui sperimentiamo la povertà, il vuoto, l’angoscia, Cristo è sempre pronto a rivelarsi come colui che ci tira fuori dai nostri abissi.

Come l’ora di Cana prelude all’Ora della Pasqua, così le ore in cui il Signore si rende presente nella storia ci permettono di gustare il frutto della croce.

Chiediamoci allora: cosa mi manca in questo tempo della vita? Sto facendo quello che Gesù mi chiede?

Seconda Domenica T.O

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