Imparare a mettersi da parte.
La nostra vita racconta molto più delle parole che usiamo, ce lo dicono gli esperti della comunicazione: gran parte del messaggio viene veicolato attraverso il nostro corpo, i gesti, le nostre espressioni. È la testimonianza che fa la differenza, e quando ci lamentiamo di essere stati fraintesi, forse dovremmo chiederci cosa ho raccontato con la mia vita?
La realtà ci interroga continuamente, gli altri ci interpellano, e, alla fine è la vita stessi che ci svela; alcuni tentano di occultare il loro volto, attraverso profili irreali, altri invece cercano di raccontare in modo onesto ciò che sono, e il Vangelo di questa domenica conferma che l’agire in onestà permette a Dio di trasformare la nostra vita in un luogo dentro cui Egli può parlarci.
Giovanni Battista è l’uomo che non ha paura di lasciarsi interrogare dalla realtà di lasciarsi vedere per quello che è: riconosce i suoi limiti «Non lo sono», ammette di non essere il protagonista «Io sono voce di uno che grida…», confessa di dipendere da un altro «non sono degno di slegargli il laccio dei sandali».
Si presenta come colui che sa riconoscere la differenza tra sé e gli altri, sa riconoscere il proprio ruolo nel servizio per un altro: egli non è la luce, ma è testimone della luce; non è lo sposo, ma l’amico dello sposo; non è la Parola, ma la voce della Parola. Trova la propria identità nel servizio affinché l’Altro possa svolgere il proprio ruolo: un’immagine molto lontana dalla nostra cultura malata di protagonismo.
Giovanni Battista non ha bisogno di stare al centro della scena: sa farsi da parte, va nel deserto, non rimane nel tempio del potere e delle sicurezze, si allontana fino al punto di rischiare di non essere visto.
Crea così facendo una rivoluzione culturale: Giovanni Battista con la sua vita mette in discussione gli altri perché la sua vita suscita domande. Non indossa le vesti sacerdotali, sebbene gli spettano di diritto appartenendo alla casta sacerdotale; non abita nei luoghi dedicati al sacerdote; pone domande piuttosto che dare risposte preconfezionate.
Inoltre Giovanni appare vestito in maniera essenziale (peli di cammello) affinché la sua persona non copra il messaggio: non si impadronisce della Parola, ma si mette al suo servizio.
Farisei, sacerdoti, leviti, inizialmente pongono domande, cercano la verità, ma pian piano, scoprendo che si tratta di una verità scomoda, smettono di interrogarlo.
Non è che succeda così anche a noi nell’accontentarci di quello che sappiamo, nel rinunciare a cercare la Verità, o peggio ancora chiudendoci nelle nostre certezze, nel dare solo ordini, nel rifiutare i pareri degli altri, e dispensando i nostri consigli?
Questo crogiolarsi nelle nostre certezze ci obbliga quindi a tenere in piedi un profilo falso a crearci un’immagine che esclude Dio dalla nostra vita e a noi di essere parola di speranza per gli altri.
Noi siamo “immagine di Dio”, in noi abita lo Spirito del Signore, noi siamo chiamato a renderlo visibile con la nostra vita, ma purtroppo molto spesso lo soffochiamo, ci ripieghiamo su noi stessi e non riusciamo più (o spesso non vogliamo) riconoscere il misero, il cuore spezzato, lo schiavo o il prigioniero.
Chiediamoci allora: ma la mia vita sta dicendo qualcosa agli altri? C’è spazio per Dio o sono completamente ripiegato su me stesso e sull’immagine che voglio offrire?
IIIAvvento_2023