Foglietto settimanale dal 17 al 24 ottobre 2021

Voglio vincere! Educati alla competizione

Fin da piccoli aneliamo tutti a diventare Re di Camelot o Principesse da salvare, prigioniere in una torre, o addormentate nel bosco in attesa del Principe azzurro.

Un certo modo di educare, improntato alla competizione, non ci aiuta, né tantomeno ci è di esempio lo scenario impietoso della politica e delle istituzioni. Dal traffico ai colleghi di lavoro, dal gruppo parrocchiale alle beghe di partito, è tutta una corsa a prevaricare sull’altro per essere i primi: gli altri ci appaiono sempre più avversari, rivali, concorrenti: la sete di potere è terribile, perché continua ad autoalimentarsi, lasciandoci sempre più assetati, cercando sempre una fonte che possa dissetarci. Ma i pozzi del potere sono avvelenati, accendono la sete piuttosto che spegnerla, perciò l’unica soluzione è cercare altre fonti dove andare a bere!

Anche i discepoli di Gesù, ieri come oggi, sono assetati di potere: davanti alle parole di Gesù che confida la sua angoscia davanti alle prospettive di morte, i discepoli progettano il loro futuro, preoccupandosi di chi dovrà sostituire il maestro.

Giacomo e Giovanni rivendicano un loro privilegio, forse perché primi ad essere chiamati da Gesù, forse perché ostentano una possibile parentela con Gesù o forse solo per il loro carattere impetuoso, visto che erano chiamati “figli del tuono”. Confidano sulle loro forze, sono assolutamente sicuri delle loro capacità («Gli risposero: “Lo possiamo”», Mc 10,39).

Gesù evoca due immagini dell’Antico Testamento: il calice e il battesimo.

Il calice è il calice della gloria, ma anche il calice dell’amarezza e dell’ira di Dio. È un’immagine che evoca vendetta e morte, non a caso è sul calice che Gesù pronuncia una delle benedizioni durante l’ultima cena, sostituendo il proprio sangue al sangue dell’agnello, offrendo sé stesso come riscatto, per la liberazione degli uomini tenuti schiavi dalla morte.

Il battesimo, non è solo il gesto del rinnovamento della vita, ma è l’immagine di chi è travolto dalle acque del male, dove si è liberamente immerso. Gesù è colui che si lascia immergere per essere travolto dalle acque del nostro male, quelle acque di morte dalle quali il Padre lo tirerà fuori, mostrandolo vincitore della morte.

Se la gloria di Cristo è la croce, allora è significativo che, in croce, alla destra e alla sinistra di Gesù non siederanno Giacomo e Giovanni, ma due peccatori, due ladroni, due uomini condannati e giustiziati. Accanto a Gesù, nella sua gloria, siedono i condannati e gli esclusi di ogni tempo, coloro che non hanno merito: quelli che non abbiamo ritenuto degni di accostarsi a Lui.

Alla logica del potere, Gesù contrappone la vita come servizio, realizzando le profezie dell’Antico Testamento. Per questo, la liturgia ci presenta nella prima lettura alcuni versetti del quarto Canto del Servo, di Isaia. Il Servo è qui probabilmente Israele stesso, il popolo che deve percorrere un cammino di espiazione per riparare l’alleanza che si è rotta. E questo cammino può essere percorso solo facendosi servo, cioè entrando in una logica di obbedienza e di consegna alla Parola di Dio.

Cammino realizzato pienamente da Cristo, che si è fatto servo dell’umanità per ricostruire la relazione con Dio. Ciò che salva, ciò che dà senso alla vita, non è il potere, ma la disponibilità a servire.

Cristo, come ricorda la Lettera agli Ebrei, è il Sommo sacerdote che offre sé stesso come offerta di espiazione. Non salva con il potere, ma con l’offerta della vita. Gesù infatti non si è sottratto alla prova.

Si tratta di un modo diverso di intendere la giustizia e il diritto, come ci ricorda il Salmo 32. Purtroppo oggigiorno giustizia e diritto sono spesso gli ambiti dell’abuso del potere, strumenti per distruggere l’altro, luoghi del privilegio del potente. Giustizia e diritto, dovrebbero invece essere i luoghi privilegiati del servizio autentico.

La vita, trova senso quando è spesa per qualcuno o per qualcosa, ma diventa ossessione quando ci si concentra solo sulla propria sete.

“Solo chi vive per gli altri vive responsabilmente, ossia vive!” è quanto ci ha lasciato scritto Bonhoeffer, pastore protestante giustiziato dai nazisti, che aveva messo la vita della sua gente prima della sua.

Chiediamoci allora: La mia vita è improntata a uno stile di servizio oppure in continua competizione con gli altri?

XXIX Domenica T.O

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