Tra due cose buone
Decidere non è una cosa semplice, ancor di più quando ci troviamo davanti a due cose buone. Si tratta di dare una priorità, ma non sempre è così chiaro cosa debba venire prima. I sensi di colpa sono dietro l’angolo, il timore di aver fatto la scelta sbagliata è sempre in agguato.
Anche Gesù si trova davanti a questo conflitto tra due cose buone: da un lato la promessa fatta agli apostoli di stare un po’ con loro, di ascoltarli dopo averli inviati ad annunciare il Vangelo da soli, di prendersi un po’ di tempo per riposare e, dall’altra parte, la gente che lo insegue per ascoltarlo, la gente affaticata, che non sa dove andare.
A cosa dare priorità? Essere fedele alla promessa fatta ai suoi amici o dare spazio al bisogno incontenibile della gente? Cosa è più giusto: portare a termine il percorso formativo degli apostoli o cogliere l’occasione per dire qualcosa alla gente che lo cerca?
Qualunque decisione genera delusione in qualcuno. Sul momento, gli apostoli ci saranno rimasti male, forse tra loro avranno anche criticato Gesù, forse qualcuno si sarà sentito tradito, trascurato. La delusione avrà trovato spazio nel gruppo dei Dodici. Ma d’altra parte cosa sarebbe successo se Gesù avesse ignorato la folla che lo cercava?
Ci sono due situazioni che lo interpellano e tra queste Gesù deve discernere. Non c’è molto tempo. Spesso anche noi ci troviamo a dover prendere una decisione senza indugiare troppo.
Nel testo c’è infatti una parola chiave che diventa il criterio della decisione di Gesù: provò compassione. Questo termine indica il movimento delle viscere, il sentire profondo che muove la nostra interiorità. Vuol dire che Gesù non ha fatto una scelta avventata, ma si è ascoltato. Sente che in quel momento la priorità è incontrare la gente. Gli apostoli sono chiamati ad aspettare. Anzi, questa esperienza di attesa diventa formativa anche per loro, perché stanno imparando meglio i criteri di Gesù: cosa viene prima, cosa è più importante.
Scegliere come Gesù
Gesù si trova davanti una folla anonima, che gli appare come un insieme di pecore disperse: erano come pecore che non hanno pastore. Si tratta di quell’umanità di cui nessuno si prende cura, sono persone che non sanno dove andare. Ma le pecore che non hanno pastore sono anche continuamente esposte alla voracità dei lupi. Questa è la gente che Gesù ha davanti, ma è la gente che anche noi incontriamo. A volte però i nostri progetti pastorali, i nostri piani di lavoro, le nostre esigenze, diventano prioritarie, ci irrigidiamo: davanti al bisogno disordinato degli altri, siamo più propensi a portare avanti le nostre programmazioni.
Gesù ha la libertà di interrompere quello che sta facendo, ha il coraggio di deludere, ha la forza di rimandare, perché ora c’è qualcosa di più importante.
Di cosa ha bisogno quella gente disperata e vagabonda? Mi colpisce che la risposta di Gesù davanti a questa folla disordinata sia di insegnare.
Anche questo mi fa riflettere sui nostri progetti pastorali: cosa chiede veramente la gente? Qual è il bisogno più profondo delle persone? Gesù non ha paura di affrontare la stanchezza sua e della gente, perché c’è una parola che rinfranca, una parola che ristora, c’è un messaggio che dà speranza!
Davanti a questo atteggiamento di Gesù i nostri programmi pastorali impallidiscono, sembrano programmazioni più da circolo ricreativo o da aziende in fallimento che iniziative di discepoli di Cristo. Ma a volte i fuochi pirotecnici hanno lo scopo di colmare il vuoto di contenuti. Questa pagina del Vangelo, anche alla luce della crisi che stiamo attraversando, ci offre l’occasione per ripensare in che modo vogliamo prenderci cura delle persone, forse tornando a sentire compassione per poter fare talvolta anche scelte difficili.
Chiediamoci allora: Quali sono i miei criteri per scegliere tra due cose buone? Cosa mi insegna la compassione provata da Gesù davanti alle folle?
XVI Domenica_TO