Siamo tutti disonesti! Fingiamo di essere padroni di quello che non è nostro
I verbi ‘truffare’, ‘ingannare’, di solito vengono coniugati nella forma passiva: sono stato truffato, ingannato… Arriva però sempre il momento in cui dobbiamo rendere conto della nostra vita e allora ci accorgiamo di quante volte eravamo noi il soggetto di quei verbi ma, nella forma attiva!
Il profeta Amos ci costringe a esplorare l’ambito delle nostre relazioni, dove a volte abbiamo usato bilance false (Am 8,5), soppesando in modo diverso quello che era nostro da quello degli altri, pensando prima di tutto ai nostri interessi; abbiamo aspettato il momento giusto per comprare il più debole (Am 8,6); il momento in cui l’altro era in difficoltà per approfittarne, magari per prenderci finalmente la nostra vendetta; venduto persino lo scarto della nostra vita (Am 8,6); dato all’altro quello che per noi non era importante; fatto finta di essere generosi con quello che per noi non aveva alcun valore.
Il Vangelo questa domenica ci ricorda che per tutti prima o poi arriva il momento in cui dobbiamo rendere conto, non solo come singoli, credo, ma anche come Chiesa e come umanità. La domanda che oggi la liturgia ci mette davanti è che cosa ne sto facendo della mia vita, come sto amministrando questa vita, questo tempo, quello che è stato messo provvidenzialmente nelle mie mani?
Non sappiamo se l’amministratore della parabola sia effettivamente disonesto o se sia solo considerato tale, ma questo appellativo ci dice qualcosa di più profondo: siamo tutti amministratori disonesti, perché usiamo come nostro qualcosa che non lo è. Nella nostra vita infatti tutto è un dono, un dono nel senso radicale, è qualcosa cioè che non ci appartiene.
Chi può dire di possedere veramente qualcosa, cioè di esserne proprietario e padrone? Tutto ci può essere tolto in qualunque momento della vita: le relazioni, gli affetti, il ruolo, la vocazione, la salute, la vita stessa… andiamo avanti illudendoci di essere padroni e ci accorgiamo invece che siamo solo amministratori! E ci è dato un tempo, più o meno lungo, per non sperperare.
Forse il senso della vita sta proprio qui: comprendere come amministrare nel modo migliore quello che è stato messo a mia disposizione. Gesù lo dice chiaramente: siamo amministratori di una ricchezza disonesta, di una ricchezza altrui! (Lc 16,11-12)
Disonesto o meno, l’amministratore del Vangelo deve affrontare la situazione, e nella crisi, scopre il senso della vita. Potrebbe continuare a rubare, a prendere per sé, ma, in quel momento capisce che il senso della vita, quello che permette di amministrare bene, è con-donare, cioè l’azione del per-dono, dare all’altro senza che ne abbia merito, togliere un peso dalla vita dell’altro quando non se lo aspetta.
La prima cosa che Dio ci chiede di fare con la nostra vita non è quella di essere giusti, ma di essere misericordiosi. L’amministratore disonesto viene lodato non per la sua correttezza, ma perché ha scelto la via della generosità: si è creato un futuro, usando la sua vita per condonare i debiti che gli altri hanno contratto!
Questa parabola che viene raccontata da Luca subito dopo quella del padre misericordioso ci permette di capire ancora meglio l’alternativa con cui Gesù conclude il suo discorso: o decidiamo di servire Dio o diventiamo schiavi della ricchezza! (Lc 16,13)
Abbiamo due modi diversi di vivere:
servire la ricchezza: è colui che vive nell’illusione di guadagnare, ma ne diventa schiavo, attacca il cuore a quello che domani non potrebbe esserci più, e il possedere qualunque cosa (non semplicemente il denaro), è il primo gradino verso la perdizione, dopo la ricchezza viene la vanagloria e poi la superbia.
servire Dio: è colui che riconosce la “Fonte” di ogni dono, comprende di essere amministratore e persona libera, pronto a restituire ciò che ha ricevuto in qualunque momento gli sia richiesto.
Chiediamoci allora: Come amministro la mia vita? In che modo vivo le mie relazioni: sono generoso, o cerco sempre di guadagnare per me stesso?
XXV Domenica T.O.SCARICA PDF