Foglietto settimanale dal 20 al 27 Giugno 2021

In mare aperto, dentro la tempesta: immagini della vita

Per noi, il mare significa divertimento, svago, evasione. Al massimo può suscitare domande legate ai seri problemi ecologici, ma nel mondo antico, il mare richiamava il pericolo del viaggio, la possibilità di morire, la devastazione delle inondazioni.

Nel testo del libro di Giobbe leggiamo un passaggio del discorso finale di Dio che mette Giobbe davanti alla sua piccolezza affinché riconosca il limite del suo punto di vista, e viene usata proprio l’immagine del mare come minaccia di morte.

Il mare diventa una rappresentazione del male che, vorrebbe travolgere ogni cosa con il suo orgoglio. Il male è presuntuoso, non accetta di fermarsi, è devastazione, si illude di non avere confini, si manifesta attraverso la presunzione e il delirio di onnipotenza in coloro che si lasciano abitare da esso.

Il testo di Giobbe ci ricorda in modo perentorio, che Dio pone un limite all’orgoglio del mare, perché Dio è il Signore del creato e della storia. Tante volte abbiamo l’impressione che il male stia dilagando, ma il libro di Giobbe ci invita a ricordare quel limite che Dio ha imposto e oltre il quale il mare/male non può andare.

Tutta la Rivelazione ci ricorda che siamo davanti a un destino di bene perché Dio ha già vinto il male, sebbene questo abbia un misterioso spazio per spaventarci ancora, senza però vincere mai.

L’immagine antica del mare come luogo del viaggio della vita: la tentazione di allontanarsi dalla propria terra, di sfidare i pericoli, di affrontare esperienze che rappresentano gli incontri e le tappe della vita, con i suoi pericoli, ritorna invece nel brano del Vangelo di Marco. L’invito di Gesù, rivolto ai discepoli, di «passare all’altra riva» suona come un invito a non fermarsi mai nel viaggio della vita: occorre rischiare, affrontare le paure e i pericoli. Non solo ne vale la pena, ma non si può non passare all’altra riva, perché significherebbe smettere di vivere.

Occorre però fare spazio a Dio nella barca con la quale decidiamo di partire. I discepoli hanno preso Gesù con loro e lo accolgono, dice il testo “così com’era”. Possiamo immaginare che sia un’allusione alla stanchezza di Gesù. Dopo una giornata di predicazione, Gesù è stanco. Per noi, tendenti all’attivismo e amanti dell’immagine di onnipotenza, ci meraviglia che Gesù non abbia avuto timore di farsi vedere stanco. Gesù non nasconde la sua fatica e si addormenta, in un certo senso si fa vedere debole, ha bisogno di riposarsi e lascia che la barca della vita sia in mano ad altri.

Come succede nella vita, durante questo viaggio sul lago, arriva la tempesta. La barca è travolta dalle onde. Il mare è minaccioso e sembra vincere fino al punto che i discepoli pensano di morire. In quel frangente ti aspetteresti che Dio ti aiuti e invece a volte sembra che dorma, proprio come in questo episodio. Ti viene il dubbio che Dio si sia dimenticato di te o che non gli importi del tuo destino. Ti convinci che devi fare da solo, altrimenti nessuno ti aiuterà. Nella disperazione però ti metti a gridare. Ti rendi conto che da solo non vai da nessuna parte e hai bisogno di Dio.

Anche i discepoli si sentono abbandonati e sfiduciati. Si rivolgono a Gesù, quando hanno capito che da soli non riescono ad affrontare la tempesta, lo chiamano maestro, e non più Signore, come avviene invece nel testo parallelo di Matteo. Quel termine Signore, che richiama la divinità di Gesù, qui è scomparso. Qui i discepoli lo chiamano invece maestro come se non credessero più di navigare con il Figlio di Dio. Nella paura, Gesù è diventato un maestro qualunque, che al più ci può confortare con la sua sapienza, ma che non può aiutarci ad affrontare la tempesta e l’arroganza del mare.

La paura ci fa dimenticare la fede in Gesù. E, infatti, è proprio a quella professione di fede che i discepoli sono rimandati. Nella tempesta, paradossalmente, emerge prepotentemente una domanda: chi è Gesù? Chi è Gesù per me?

È proprio nel tempo della fatica e del buio che emerge quale tipo di relazione abbiamo con lui. Il viaggio inevitabile sul lago con le sue tempeste ci ha portato a riconoscere e riaffermare che Gesù è colui che calma il vento, quel che a volte soffia impetuoso e devastante sulla nostra vita.

Chiediamoci allora: nelle tempeste della ma vita, come ho vissuto la relazione con Gesù?

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