La fame immagine del desiderio
Nel contesto culturale di abbondanza e di spreco nel quale viviamo facciamo fatica a capire cosa sia la fame. La fame l’hanno sperimentata i nostri genitori i nostri nonni soprattutto dopo la guerra, e la sperimenta ancora una larga parte della popolazione mondiale, visto che le risorse della terra sono concentrate nelle mani di una piccola minoranza. Questa condizione di sazietà ci impedisce paradossalmente di comprendere fino in fondo alcune pagine della Scrittura. Nella Bibbia infatti la sete e la fame sono spesso utilizzate come segno del desiderio, occasioni in cui sperimentiamo ciò che ci manca ciò che è essenziale per vivere.
La fame ci ricorda che non siamo autosufficienti, abbiamo bisogno della realtà esterna per poter sopravvivere. Mangiare significa infatti introdurre dentro di noi qualcosa che non ci appartiene. Questo cibo può essere ricevuto come dono o comprato o persino rubato: il modo in cui rispondiamo alla nostra fame dice anche il rapporto che abbiamo con il mondo.
Ecco allora la fame di affetto, di giustizia, fame di relazioni…ma come rispondiamo a questa fame?
Il Vangelo di Giovanni è fin dall’inizio un’educazione del desiderio: che cercate? chiede Gesù ai discepoli di Giovanni Battista che lo seguono. Da quel momento, il Vangelo mostra come il maestro prende sul serio il desiderio del discepolo, quel desiderio ancora confuso e inespresso, e accompagna il discepolo di ogni tempo a comprendere che solo lui, Gesù, è la risposta vera e piena al nostro desiderio più profondo. È Gesù il pane vero che nutre la nostra anima.
Non a caso il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, di questa domenica, è introdotto da un riferimento alla Pasqua (dei Giudei) ormai vicina: portando a compimento il senso della pasqua ebraica, Gesù dona sé stesso come cibo per l’umanità. Gesù non dà semplicemente un pane che sfama il bisogno temporaneo dell’uomo, ma dà sé stesso affinché egli possa essere la risposta eterna alla fame di ogni uomo.
I discepoli di ogni tempo fanno fatica a capire come Gesù possa costituire questa risposta fondamentale al proprio desiderio. Ci troviamo infatti davanti a un momento dell’itinerario di Gesù segnato dalla crisi e dall’incomprensione: i segni vengono interpretati erroneamente. Il brano di questa domenica traduce e questa crisi, attraverso un inciso posto all’inizio e alla fine: all’inizio Gesù sale su un monte con i suoi discepoli, alla fine ritroveremo Gesù su un monte tutto solo. La gente, persino i discepoli più stretti, alla fin fine, cercano il pane, non Gesù, si concentrano sul dono non sul donatore.
Ci interessa ciò che Dio può fare per noi o la relazione con lui? Ci interessa risolvere i nostri problemi o attraversare i problemi rimanendo stretti a Gesù?
I discepoli hanno ascoltato le parole del maestro, hanno visto molti segni, eppure non credono che Gesù possa effettivamente intervenire nella storia dell’umanità. Filippo rappresenta qui la voce del buon senso, guarda alla realtà, l’analizza umanamente, e conclude che il problema non può essere risolto. Anche Andrea si arrende davanti alla spietatezza della realtà: c’è una sproporzione tra il problema e le risorse a disposizione. In questi discepoli possiamo rivedere la nostra fiducia nelle risorse puramente umane: Gesù è con noi, lo abbiamo ascoltato, abbiamo vissuto con lui, abbiamo sperimentato la sua presenza, ma ancora non crediamo veramente che egli possa agire e trasformare la nostra vita. Gesù resta ancora una presenza irrilevante. È un profeta, come dirà alla fine la folla, un bravo maestro, ma i problemi della vita sono un’altra cosa e dobbiamo pensare noi come risolverli.
Filippo e Andrea non si rendono ancora conto di quello che hanno a disposizione. Siamo nel capitolo 6 di Giovanni, ma se guardiamo ai capitoli precedenti, dovremmo ricordarci di quel numero 6 che rappresenta l’imperfezione portata a compimento da Gesù: c’erano 6 giare a Cana e Gesù sarà sulla croce la settima giara da cui scaturirà sangue e acqua, la Samaritana aveva avuto sei uomini, ma solo il settimo, Gesù, è lo sposo vero. Forse è solo una suggestione, ma i discepoli non si sono accorti di avere a disposizione 7 elementi (5 pani e 2 pesci). Hanno la pienezza, ma non se ne rendono conto. Quando siamo con Gesù non abbiamo da temere, perché non ci manca nulla!
Quando siamo con lui infatti il deserto fiorisce: c’era molta erba in quel luogo. Anche Israele aveva ricevuto il dono della manna, mentre si trovava però ancora nel deserto. Ora Gesù rende verdeggianti i luoghi che attraversiamo con lui, persino quei luoghi in cui sperimentiamo la fame.
In questo brano Gesù non moltiplica e non divide i pani e i pesci, semplicemente li dona. Forse questo cambiamento dei verbi ci invita anche a entrare in una modalità diversa di affrontare la vita: si tratta di uscire da un criterio quantitativo, un criterio economico, ed entrare in una logica della donazione. Noi siamo sempre preoccupati di prendere o di distribuire, qui si tratta semplicemente di donare. È un’immagine della nostra vita: siamo spesso portati a capire come distribuire il nostro affetto, dove possiamo guadagnare di più o dove ci conviene investire. Gesù ci invita a entrare in una logica che metta da parte il calcolo e si preoccupi solo di donare.
Solo così si sperimenta una sovrabbondanza: l’amore non si esaurisce, ma genera amore. Avanzano dodici ceste: chissà, forse una per ogni discepolo, affinché possano ricordarsi almeno per un po’ quello che hanno sperimentato. Eppure, come dicevamo all’inizio, Gesù si ritrova da solo, incompreso. Il suo messaggio non è passato. E forse anche noi siamo tra quei discepoli che ancora non lo hanno capito, forse più interessati a risolvere i propri problemi che a crescere nella relazione con lui.
Chiediamoci allora: Di cosa ho fame in questo tempo della tua vita? Quali sono i doni che Dio mi ha dato e che posso mettere a disposizione del suo Regno?
XVII Domenica