Incontri inattesi negli abissi del cuore
C’è un gesto antico che oggi forse non ci capita più di vedere: quello delle donne che con il setaccio liberano la farina dalle impurità, gettano via quello che, diversamente rovinerebbe la pasta.
Altri ricordi ci rimandano ai cercatori d’oro, dove il setaccio era uno strumento fondamentale: riempito di piccole quantità della sabbia del fiume, nella speranza di scoprire qualcosa di prezioso, alternava delusione, oppure gioia quando si trovava qualcosa di valore.
La nostra vita, dice il Siracide, è come quel setaccio attraverso cui scopriamo quello che ci portiamo nel cuore: “Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti”.
Dentro di noi ci sono tante cose, buttate alla rinfusa, a volte poco riconoscibili, per le acque torbide che ci attraversano, a volte perché sepolte molto profondamente. Dentro quel setaccio, simbolo del discernimento, ci sono i nostri desideri, i pensieri, i sentimenti.
Tutto quello che è conservato o disperso dentro di noi prima o poi si rivela: la nostra bocca, le nostre azioni, rivelano quello che c’è nel cuore.
Gesù richiama questa relazione molto stretta tra il cuore, la bocca, le mani: i nostri gesti, i discorsi, i comportamenti non sono casuali, nascono da quello che abbiamo seminato dentro di noi.
Talvolta la nostra interiorità appare una camera affollata di un disordine dove è complicato cercare quello che ci serve, ma soprattutto può diventare un luogo in cui il male si annida e si confonde. La stanza non curata molto spesso nasconde, tracce di cibo che imputridiscono, sentiamo l’odore cattivo, ma difficili da trovare.
Non per niente i padri del deserto insegnavano la sobrietà, quella capacità di fare spazio nel cuore per vedere meglio quello che c’è: «La sobrietà è una sentinella immobile e costante dello spirito, che sta sulla porta del cuore per discernere diligentemente i pensieri che si presentano, per ascoltare i loro progetti, spiare le manovre di questi nemici mortali e riconoscere l’impronta demoniaca che tenta, mediante la fantasia, di sconvolgere lo spirito. Questa attività, condotta avanti con coraggio, ci darà, se lo vogliamo, un’esperienza molto accorta del combattimento spirituale».
Paradossalmente più siamo ciechi verso noi stessi, più abbiamo la pretesa di vedere bene nel cuore degli altri: chi è ossessionato, chi fissa lo sguardo sulla vita degli altri, non vede più la propria; chi invece si occupa del proprio cuore, distoglierà lo sguardo dalle azioni degli altri.
In questa scelta di dove dirigere il nostro sguardo, su di noi o sugli altri, sta l’alternativa tra la misericordia e il giudizio.
Chi ignora quello che c’è nel proprio cuore, si chiude all’esperienza della grazia e pretende di dirigere la vita degli altri solo con il metro della giustizia.
Tanti sono i falsi maestri che pretendono di applicare il Vangelo solo agli altri e non a se stessi, perché non vedono se stessi, ma sono ossessionati dalla vista degli altri.
Se dalla nostra vita scaturisce vino acido, forse è il caso di prendersi cura della vite. Con queste immagini, Gesù ci anticipa quello che sarà il frutto dell’albero della croce. La croce è l’albero da cui scaturisce il frutto che dà vita, che annulla il veleno immesso nel mondo dal frutto carpito da Adamo ed Eva.
Il sangue di Cristo è il vino della nuova alleanza, il vino della promessa che ci permette di entrare nella vita per sempre.
Chiediamoci allora: Cosa traspare dal mio modo di comportarmi? Sono consapevole di quello che si agita nel mio cuore?
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