Vienimi a cercare! Il desiderio di chi si è perso.
Nella vita ci si perde! Ci si perde nelle relazioni quando si è stanchi, quando si pensa che la propria felicità sia altrove, quando si teme di sprecare tempo. A volte si ha solo l’illusione di essere rimasti in una relazione, ma in realtà il cuore è da tempo altrove. Eppure ogni volta che qualcuno si perde, c’è qualcun altro che sta cercando, perché chi si perde lascia un vuoto, crea una mancanza: c’è sempre un pastore che cerca la pecora, una donna che cerca la moneta, un padre che cerca un figlio!
La parabola di questa domenica è raccontata da Gesù per coloro che si ritengono giusti, per coloro che pensano di non essersi mai persi nella vita. Il primo scopo forse è proprio quello di aiutarci a prendere consapevolezza di come anche noi, anche senza accorgercene, ci siamo persi.
Il figlio minore è uno che ha scelto di perdersi: rappresenta quelle persone che cercano l’amore senza vincolo, come se si potesse prendere senza dare nulla di sé, vedono solo il proprio bisogno. Sono fondamentalmente concentrati solo su di sé. Il padre permette di fare questo cammino, nella speranza che sia la strada per crescere.
Il padre infatti muore per i figli, si fa da parte, si divide, si spezza: “divise tra loro le sostanze”, dove questa parola ‘sostanza’ rimanda all’essenza, è il padre nella sua natura, che si spacca per il figlio.
Ma in questo cammino di crescita il figlio minore deve passare attraverso la spogliazione della propria dignità: da figlio diventa servo, dipende da un padrone, proprio lui che cercava un amore senza impegno. Forse si convince, come anche tante persone oggigiorno, che l’unico modo per stare in relazione sia starci da servo. Anche quando decide di tornare dal padre, immagina un futuro da garzone nella casa di famiglia. Solo una persona che ci ama veramente può aiutarci a scoprire che si può stare in una relazione senza sentirsi servo, ma questa è l’esperienza che facciamo soltanto laddove sperimentiamo un amore autentico.
Anche il figlio maggiore è uno che si è perso, solo che non se ne rende conto. Ha vissuto fino ad ora cercando di compiacere il padre: fa il suo dovere per essere visto, ma dentro si porta rabbia e tanta frustrazione. Vorrebbe fare altro, ma si sacrifica per fare il suo dovere.
Ma quando siamo arrabbiati diventiamo cechi e non vediamo più come stanno veramente le cose. La rabbia ci porta ad assolutizzare, esageriamo, contaminando ogni aspetto della relazione.
All’improvviso tutto sembra da buttare via: «non mi hai mai dato un capretto per fare festa». Può darsi che qualche volta il capretto sia mancato, ma quando siamo arrabbiati tendiamo a dimenticare anche tutto il bene che c’è stato.
Chissà da quanto tempo il figlio maggiore si era perso, il testo ce lo presenta infatti come estraneo: non sa quello che avviene nella casa di suo padre lo chiede ad un servo, non entra in casa, è talmente estraneo alle relazioni che non pronuncia mai la parola fratello!
Per entrambi i figli, come per tutti noi, il Padre costruisce dei cammini di riconciliazione, a partire dalle situazioni in cui ci troviamo. Il Padre non smette mai di aspettare il ritorno del figlio minore, non dice solo parole, ma fa gesti concreti: gli corre incontro vedendolo da lontano, come se non avesse mai smesso, ogni giorno, di scrutare l’orizzonte, come se il suo sguardo fosse rimasto sulla figura del figlio mentre si allontanava. Lascia che il figlio riconosca di aver sbagliato, ne prenda consapevolezza, ma non gli lascia chiedere di essere trattato come un servo: quel figlio è sempre figlio e questa dignità non può toglierla nessuno!
Il camino di riconciliazione passa attraverso segni concreti: il primo segno è il vestito, mediante il quale il padre ridona la dignità al figlio, lo copre, ripetendo quel gesto che Dio aveva compiuto nei confronti di Adamo ed Eva quando dopo avere mangiato dell’albero si scoprono nudi. Rimette l’anello al dito al figlio, gli restituisce i beni che ha sperperato. La riconciliazione non può essere accompagnata dal sospetto e solo ridonando la fiducia si ricostruisce una relazione. I calzari ai piedi perché solo il servo va a piedi nudi, il figlio deve ritornare in quella casa da persona libera, e una relazione è autentica quando ci si sente liberi di starci. Ma il segno più importante è certamente quello del vitello ucciso per fare festa: è il segno che dice l’importanza della vita dell’altro.
Sono riconciliato con l’altro quando sono capace di celebrare la sua vita!
Questo cammino di riconciliazione è compiuto dal Padre anche nei confronti del figlio maggiore, a partire dalla sua situazione, lo raggiunge dov’è. Il figlio maggiore è fuori ed è lì che il Padre lo trova. Il Padre non banalizza la delusione del figlio e non minimizza il suo rancore, ma si mette davanti a lui con la sua fragilità, gli presenta il suo cuore e riparte dalla comunione: tutto quello che è mio, è tuo. Lo invita ad aprire gli occhi su quella comunione che non è più capace di vedere.
Alla fine il figlio maggiore entrerà oppure no? Il racconto non si chiude, così come noi siamo chiamati a rimanere aperti davanti a chi se n’è andato, a chi ci ha traditi, a chi ci ha lasciato morire.
Ognuno deve prendere posizione, ogni giorno siamo chiamati a decidere se vogliamo ritornare nella casa del Padre o se preferiamo rimanere fuori.
Chiediamoci allora: Mi sono perso nella mia vita? Che cammini di riconciliazione il Signore mi sta invitando a costruire?
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