Parla pure, tanto io non ti voglio sentire!
La pandemia ha portato ad un frequente uso della comunicazione digitale e tante sono le persone che preferiscono questa modalità anche per partecipare all’Eucaristia.
Fatte salve le situazioni in cui è impossibile recarsi in parrocchia, guardare la celebrazione da uno schermo, ci rende per lo più spettatori: è come se ci fosse una comunità che celebra e qualcuno che guarda dall’esterno.
Questa pratica però fotografa esattamente il nostro attuale contesto culturale dove si preferisce guardare senza essere coinvolti.
La liturgia eucaristica invece è un’esperienza che tocca la nostra sensibilità e chiede di comprometterci; ci trasmette l’immagine evidente di essere un solo corpo, un solo popolo formato da tutti i credenti. L’Eucaristia non è qualcosa di cui sono spettatore (come può essere uno spettacolo in TV), ma è ciò che io stesso contribuisco a realizzare.
È questa una premessa molto utile per comprendere il Vangelo di questa domenica che presenta una persona che pur partecipando fisicamente non vuole essere toccata, anzi si tiene ben a distanza. Probabilmente è un uomo presente ogni sabato nella sinagoga, (luogo dove viene proclamata la Parola), ma nessuno si era mai accorto che fosse abitato da uno spirito impuro.
Quest’uomo può essere anche l’immagine del credente che per abitudine si accosta alla Parola di Dio ma ormai questa esperienza non gli dice più niente. La Parola di Dio invece sempre ci parla: siamo noi che molte volte non vogliamo ascoltare quello che il Signore vuole dirci, e se la preghiera non ci “smuove” qualcosa dall’interno forse varrebbe la pena chiederci: che cos’è che non voglio sentire?
Questo succede anche nella nostra comunicazione umana, dove spesso ci chiudiamo per non essere feriti; tronchiamo relazioni per non essere delusi; innalziamo muri per non sembrare deboli o per non essere colpiti, temiamo che la parola possa farci male.
Lo spirito che abita l’uomo del Vangelo è uno spirito impuro che gli impedisce di essere toccato, ma non sempre l’impurità ha a che fare con il contatto, a volte l’impurità porta all’isolamento, al rifiuto nei confronti di una relazione che può metterci in crisi. È come se lo spirito impuro fosse lo spirito del quieto vivere: mi basta stare lì a sentire, a vedere ma senza essere coinvolto, stessa cosa che succede quando ci riduciamo a guardare la Messa in TV!
Evitiamo l’incontro con la Parola di Dio perché abbiamo paura che questa Parola, metta in crisi la nostra vita, ci provochi dolore come accade nell’uomo della sinagoga che per essere liberato dallo spirito passa attraverso l’esperienza del dolore.
Papa Francesco in Evangelii gaudium (150), specifica che i predicatori devono essere i primi a lasciarsi ferire «dalla viva ed efficace Parola di Dio, affinché questa penetri nei cuori dei loro uditori» ed è solo così che possiamo capire l’evangelista Marco quando scrive che Gesù insegnava in maniera diversa dagli scribi, cioè con autorità: Gesù è il primo che si coinvolge nella parola che egli stesso annuncia, che si mette in gioco!
La Parola di Dio è una Parola di Vita, una Parola da vivere, una Parola che ci deve toccare, siamo quindi chiamati ad abbandonare le strategie che ci siamo costruiti per non essere disturbati nel nostro quieto vivere.
Chiediamoci allora: Mi lascio mettere in crisi dalla Parola di Dio? In quali aspetti della mia vita il Signore mi sta chiamando alla conversione?
IV_Tempo_Ordinario