Il dito nella piaga! La fatica di lasciare le ferite
La paura blocca spesso il nostro cammino, quando siamo feriti, delusi, facciamo fatica a vedere un segno di speranza, ci chiudiamo dentro, quasi per evitare che il dolore possa entrare nuovamente nella nostra vita.
Gli stessi racconti di risurrezione non ci presentano discepoli intraprendenti, audaci, capaci di riconoscere immediatamente Gesù, di annunciarlo, ma piuttosto discepoli che hanno bisogno di essere incoraggiati, accompagnati e solo dopo un cammino inizieranno piano piano ad aprire le porte del cuore.
Non a caso in questo racconto del Vangelo di Giovanni sono citate le porte del cenacolo, luogo molto caro ai discepoli perché è il luogo dove i discepoli hanno vissuto con Gesù, con Lui hanno mangiato insieme, hanno ascoltato le sue parole… eppure, la sera del giorno della risurrezione, le porte del cenacolo sono chiuse per paura.
Ma Gesù davanti alle porte chiuse del nostro cuore non si ferma ma le attraversa, va al di là del nostro dolore e si mette in mezzo, riprende il suo posto e dona pace al cuore perché solo chi ha incontrato il Risorto sente il desiderio di annunciare.
Chi è triste, arrabbiato, chi condanna e giudica, chi non lascia spazio alla misericordia, probabilmente ha ancora il cuore chiuso.
Gesù stesso si fa riconoscere attraverso le sue ferite, mostra i segni delle offese e degli oltraggi: è il suo dolore che ci parla. Tutte le ferite non sono mai inutili, sono il segno di come abbiamo amato e dentro quelle ferite, ognuno di noi si riconosce amato.
Certamente è un cammino faticoso, perché non è facile aprire le porte del cuore alla speranza, e non è così immediato fare spazio a Gesù nella nostra vita. Otto giorni dopo infatti, le porte del cenacolo sono ancora chiuse, segno di una comunità spaventata, di una comunità che a parole, dice di aver incontrato il Signore Risorto, ma in realtà è ancora chiusa in sé stessa: è una comunità che non mostra per niente i segni della gioia. Non è colpa solo di Tommaso il suo essere dubbioso, ma sono le parole usate nel racconto di quell’incontro, che non arrivano al suo cuore, non accendono l’entusiasmo.
Tommaso come tutti noi, ha bisogno di fare un cammino per arrivare a credere, non per niente il suo nome Didimo significa doppio ma anche gemello.
Doppio perché un po’ crede e un po’ no, si allontana ma poi ritorna; e Gemello perché ci somiglia, in lui riusciamo a leggere le dinamiche della nostra vita.
Anche noi spesso restiamo legati alle nostre ferite, forse per compiacerci e sentirne il dolore, ma le ferite certamente vanno riconosciute ma devono essere superate: dalla ferita nasce la vita, dal fianco squarciato di Cristo è nata la Chiesa.
Tommaso è chiamato a guardare il frutto delle ferite e non le ferite in sé, dobbiamo contemplare ciò che le ferite hanno generato, solo così si scioglie il dolore e diventiamo credenti capaci di annunciare Gesù vivo in mezzo a noi!
Chiediamoci allora: Se il Cenacolo fosse immagine del mio cuore, come sarebbero le porte? A che punto è il mio cammino di fede in Gesù?
IIPasqua_2024