Abitudine e pregiudizio: perché Dio non ci sorprende più?
Quando nelle relazioni non ci sono intoppi, viviamo convinti che le cose funzionino, e ci accorgiamo se c’è un problema solo quando l’altro non risponde più alle nostre attese: è in quel momento che ci rendiamo conto che forse abbiamo “dato l’altro troppo per scontato”, e non l’abbiamo mai veramente conosciuto.
Molto facile nelle nostre relazioni, forse per una questione di economia mentale, tendere ad etichettare le persone catalogandole in un nostro archivio mentale, per poi trattarle in base alla nostra classificazione. Quando succede che qualcuno “rompe quell’etichetta”, ci sorprende, ci spiazza si apre un conflitto, una crisi, che arriva a volte fino ad una totale chiusura della relazione stessa!
Queste classificazioni molto spesso riguardano le relazioni di vecchia data, specie quelle più intime e familiari, dove supponiamo già di sapere tutto sull’altro, o al contrario le conoscenze superficiali dove alto è il rischio di catalogare le persone senza spendere troppo tempo per conoscerle fidandoci piuttosto del “nostro” fiuto.
Oggi il Vangelo di Marco ci fa toccare con mano come questa dinamica distorta intacchi anche il rapporto con Dio: Gesù è diventato motivo di scandalo (nella sua patria, tra i suoi famigliari) perché qualcuno aveva deciso di etichettare la sua persona, la sua vita.
Abitudine e Pregiudizio impediscono molto spesso l’autentica conoscenza dell’altro:
– l’abitudine: perché ci porta a dare l’altro per scontato “sei così perché ti conosco da tempo, ed è impossibile che cambi”;
– il pregiudizio: perché è una nostra barriera mentale che ci impedisce di avvicinarci veramente a qualcuno, tanto da ritenere reale solo l’immagine che noi ci siamo costruiti dell’altro.
La Chiesa e il mondo sono luoghi in cui è possibile riscontrare questi due modi sbagliati di guardare a Dio.
La Chiesa è il luogo in cui Gesù dovrebbe essere più familiare, più conosciuto, ma proprio per questo lo diamo troppo per scontato, credendo di conoscere il suo modo di agire, arrivando al punto di permetterci di volerlo incasellarlo con le nostre etichette e rinchiuderlo nei nostri schemi mentali, fino a mettergli addosso un modo di agire che forse non è mai stato il Suo.
Il mondo è poi in assoluto il luogo del pregiudizio, dove i principi di una società sempre più ripiegata su sé stessa e le barriere mentali si uniscono nel tentativo di voler eliminare la volontà di fare un cammino di ricerca e di conoscenza di Gesù assieme al desiderio di sperimentare la Sua azione nella nostra vita.
Non dimentichiamo però che se è pur vero che gli altri tendono a mettere etichette su di noi, è altrettanto vero, come ci ricorda oggi S. Paolo, che spesso siamo noi stessi a metterci addosso una maschera per nascondere la nostra debolezza, per evitare di essere visti nella nostra fragilità, perché abbiamo paura che gli altri ne possano approfittare.
Le letture di oggi ci vogliono invece incoraggiare a guardare alla nostra debolezza senza averne paura, perché quello è il luogo della nostra vita, dove maggiormente si manifesta la grazia di Dio. «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Se non presentiamo a Dio questa debolezza, togliamo a Lui la possibilità di agire con forza e di operare miracoli nella nostra vita.
Chiediamoci allora: Tendo anch’io a dare per scontato le persone oppure mi lascio sorprendere? Sono disposto a lasciare agire Dio nella mia vita anche attraverso modalità che non avevo mai considerato?
XIV_TempoOrdinario_2024