La ginestra della delusione. Quando non ce la fai più a lottare
Quello che nella vita sembra incomprensibile, molte volte si rivela fondamentale. Ci sono passaggi della vita di cui non ci rendiamo conto, passaggi che sono segnati dalla sorpresa o anche dalla sofferenza. L’incomprensione diventa talvolta talmente pesante e oscura che desideriamo farla finita. Ci sembra impossibile continuare, andare avanti.
È anche la storia di Elia, un uomo appassionato per la verità, tenace, infaticabile cercatore di giustizia. Ma tutto questo gli costa. Si ritrova isolato, solo, giudicato.
Quando ti sembra che intorno a te tutti la pensino diversamente, quando sei convinto che gli altri stiano sbagliando, quando avresti la possibilità di indicare anche la direzione corretta, non sempre hai le energie e il coraggio di esporti. Non ci vogliamo compromettere, ci tiriamo indietro, pensiamo che non ne valga la pena.
Elia invece ci prova. Vorrebbe convincere gli israeliti a decidersi, a non vacillare, a non farsi schiavi di divinità che non rispondono. I profeti di baal (che significa padrone appunto) si dissanguano senza ottenere alcun risultato. Somigliano tanto a noi in questo tempo. Continuiamo a chiedere laddove non possiamo ottenere risposta, eppure continuiamo a buttare il nostro sangue, i nostri soldi, inutilmente.
Elia si ritrova perseguitato dalla regina Gezabele: i potenti usano quelle divinità per esercitare il loro potere sulla gente semplice. Ma arriva un momento in cui anche Elia decide di gettare la spugna. Anche per lui giunge la paura e la stanchezza. E allora Elia fugge dalle sue responsabilità. Si inoltra nel deserto, nell’ignoto, nella solitudine. Vuole spegnersi sotto una ginestra.
La vita però deve continuare. E se guardi bene, il cibo per andare avanti non manca.
C’è un desiderio di vita che non si spegne, è il desiderio di Dio per ogni uomo. Dio ci vuole vivi. E vuole nutrire soprattutto chi, come Elia, non ce la fa più. I Giudei mormorano come Israele nel deserto. Quando hai fame, sei fissato sul tuo stomaco “si ragiona di pancia” e ti sembra impossibile che Dio possa occuparsi di te.
Per nutrirci Dio sceglie infatti una via paradossale: sceglie di diventare vulnerabile come l’uomo. Il pane disceso dal cielo è la sua carne. Nell’antropologia biblica, la carne è proprio la parte fragile dell’essere umano, quella parte dell’uomo che sperimenta l’indigenza e la morte. Il Verbo si è fatto carne, perché solo nella condivisione della vulnerabilità dell’altro è possibile nutrire la sua vita. Solo se hai conosciuto la fame dell’altro, puoi diventare pane per lui.
I Giudei mormorano, si scandalizzano davanti alla rivelazione di un Dio vulnerabile. Ma è il solo Dio che salva.
Gesù è il figlio di Giuseppe, un uomo vulnerabile. Proprio per questo, paradossalmente, Gesù può capire la nostra fame e nutrirci.
Ed è così che scopriamo anche il senso della nostra vita: nutrire la vita di un altro.
La nostra vita è pane e trova senso solo quando quel pane viene mangiato da qualcuno, solo quando serve a nutrire la fame di qualcuno.
In Gesù, Dio ci chiede di continuare il cammino per diventare pane per qualcun altro. È così che l’incomprensibile diventa fondamentale, perché la tua vulnerabilità come le tue ferite non sono più inutili, ma sono il motivo per cui ti accorgi che anche qualcun altro è stanco, non ce la fa più, ha bisogno di ripartire, e forse tu puoi essere il pane che gli permette di ricominciare.
C’è sempre una ginestra sotto cui qualcuno aspetta di morire, non esitare allora a offrirgli quella focaccia che gli permette di ricominciare.
Chiediamoci allora: Come reagisco davanti alle situazioni che sembrano insopportabili? Come posso essere pane per qualcun altro?
XIX Domenica_TO_2021