Foglietto settimanale dall’11 al 18 Settembre 2022 – Pieve di Budrio

Vienimi a prendere dove mi sono perso!

Nella vita capita di perdersi, perché siamo stanchi, perché ci sentiamo deboli e vorremmo fermarci, nasconderci dietro all’ultimo filo d’erba, come una pecorella che ha perso di vista il proprio pastore.

A volte ci perdiamo perché gli altri ci hanno dimenticato, o perché la vita ci ha messo da parte, e non possiamo farci niente, neppure belare come una pecora, siamo persi, nascosti, come una moneta.

Altre volte, però ci perdiamo perché abbiamo voluto perderci, ce ne siamo andati, o magari rimasti lì, ma con il cuore altrove.

Succede di perdersi nella vita e capita anche che nessuno venga a cercarci, ma nella parabola di questa domenica, c’è chi si perde, ma c’è sempre qualcuno che si mette a cercare o che aspetta, quando non può fare altro: e questo è Dio, uno che non si dà pace fino a quando non ci ha ritrovato!

Ci perdiamo perché a volte ci si illude di poter amare senza legarsi. Vogliamo la vita tutta per noi e alla fine moriamo della fame di affetto che abbiamo elemosinato e che nessuno ci ha dato.

È l’avventura del figliol prodigo, che decide di prendersi quello che gli spetta, che si mette al centro e non vede più nessuno, ma a volte è il bambino capriccioso che abita in noi, che non sente ragione. Non gli importa se l’altro muore: il padre infatti divise la sostanza, (termine che richiama ciò che uno è, non solo quello che ha). Il padre muore per il figlio perché è l’unico modo per dargli l’eredità che gli spetta.

Nella vita c’è tanto egoismo, ma capita anche di trovare padri e madri, amici, persone, che sono capaci di morire per lasciar andare l’altro.

Il figlio minore si illude di trovare la vita fuori dalla relazione e invece trova la carestia, l’amore che ha cercato non c’è. Nessuno gliene dà: era tutto un’illusione!

E quando hai fame d’amore ti incolli alla prima cosa che trovi, e il figlio minore si incolla “si mette a servizio” di un padrone. Forse si sarà convinto che per stare dentro una relazione bisogna vivere da servi, ha paura che nessuno lo amerà se non diventa servo di un padrone.

Arriva a pensare che la relazione con il padre sia la relazione con un padrone, non è più capace di riconoscere l’amore vero.

Tutto gli sembra merce di scambio, niente gli sembra più gratuito. Tanto vale tornare dove gli conviene, e se l’unico modo di vivere è fare il servo, meglio farlo nella casa di quel padre che lui sente ancora come padrone: ma se uno ti ama non può trattarti come servo.

Infatti è il Padre stesso che non permette al figlio di pronunciare la seconda parte del discorso che si è preparato: in una relazione d’amore non si perde mai la dignità!

I cammini di riconciliazione, i percorsi per dire a qualcuno che lo amiamo veramente, che lo abbiamo perdonato, restano a volte solo nella nostra testa, ma quei cammini hanno bisogno di gesti concreti ed è quello che ci insegna il padre in questa parabola.

Copre la vergogna del figlio con il vestito più bello, (come Dio in Genesi, ricopre Adamo di una tunica di pelle) è la misericordia che copre, perché non se ne parli più!

Rimette l’anello al dito del figlio, il sigillo che segna le proprietà: gli restituisce la fiducia, è disposto a essere ingannato ancora, condivide di nuovo la sostanza.

Fa mettere i calzari ai piedi del figlio: immagine dell’uomo libero, è solo lo schiavo che cammina a piedi nudi. Quel figlio deve tornare a sentirsi libero in quella relazione, libero cioè di potersene andare di nuovo.

Fa ammazzare il vitello grasso per fare festa, perché quando vuoi bene a una persona, quando sei felice di ricominciare una relazione, vuoi celebrare la vita dell’altro.

Ogni relazione è autentica solo quando l’uno celebra la vita dell’altro.

A volte succede però che pur rimanendo in una relazione, abbiamo il cuore altrove, ci adattiamo, proviamo a stare forzatamente in una relazione, di compiacere, ma dentro alimentiamo la rabbia e la frustrazione, desideriamo andarcene, ma forse non ne abbiamo il coraggio. Restiamo perché siamo incapaci o pigri, o perché abbiamo paura del giudizio e delle conseguenze: restiamo, ma si sente che l’amore non c’è più.

Emerge così la figura del figlio maggiore che si è adattato che non riesce a sbattere i piedi e allora sceglie di fare quello che il padre gli chiede: è presente ma in realtà se n’è già andato. Il figlio maggiore è già fuori dalla casa, è fuori dalla relazione con il padre il suo amore è solo dovere.

È talmente estraneo da dover chiedere ai servi cosa sta succedendo nella casa di suo padre.

Il figlio maggiore è come un adolescente che vive di competizione e di confronto: pretende tutto per sé anche quando non lo dice, dà per scontato che debba essere amato come lui pretende, ma non ha il coraggio di esprimere la sua delusione, e cova la rabbia nel cuore, rabbia che prima o poi esce in maniera esplosiva.

È talmente arrabbiato, accecato, che non riesce a vedere come stanno veramente le cose.

La spia di quella rabbia accecante è quel mai ripetuto due volte: mai ti ho disobbedito, mai mi hai dato un capretto per fare festa!

Non sappiamo se il padre gli abbia mai dato un capretto, ma certamente adesso gli sta dando il suo cuore. Esce per lui, non giudica, lo esorta, non fa appello al senso del dovere, ma all’amore e alla compassione.

C’è una relazione nella quale possiamo rientrare in maniera nuova dopo la crisi.

Non ci è dato di sapere se il figlio maggiore sia entrato oppure no, ma ora siamo noi che dobbiamo decidere se ritornare dentro la nostra relazione per viverla in maniera nuova, onesta, ritrovando prima di tutto noi stessi che ci eravamo persi.

Chiediamoci allora: mi sono perso in qualche modo nelle relazioni importanti della mia vita e nella relazione con Dio? In che modo il Signore mi sta invitando a percorrere un cammino di riconciliazione?

XXIV Domenica T.O.

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