È questa la vita che sognavi? La tristezza di una vita anonima.
Attraverso il racconto dell’Esodo e del Vangelo di Matteo, oggi scopriamo come sia possibile, che tante persone diverse tra loro, possano diventare un popolo, una comunità, la Chiesa.
Mosè accompagna queste tribù, che insieme percorrono la storia, che diventano popolo solo quando Dio li riconosce come sua proprietà: li sceglie tra una moltitudine infinita e gli dà un’identità, li prende per sé, li consacra, li separa da tutti gli altri: diventano un regno di sacerdoti, una nazione santa, separata da tutto il resto. Diventano popolo accettando un’alleanza, condividono insieme degli impegni.
Solo riconoscendo che il Signore è Dio, Israele diventa popolo e gregge del suo pascolo (cf Sal 99,3).
Noi vogliamo rimanere folla anonima o diventare un popolo? Generalmente la folla anonima è caratterizzata dalla mancanza di motivazione: se non sappiamo chi siamo, difficilmente possiamo fare progetti, è questo il problema che molto spesso blocca le comunità parrocchiali ma anche i cammini di coppia.
Senza impegnarci, senza comprometterci, senza prendere nessuna decisione togliamo a noi stessi la possibilità di diventare qualcuno. Restiamo anonimi!
Il Vangelo di Matteo, ci fa vedere che Gesù ha compassione anche per questa gente che non si riconosce, gente stanca e sfinita, e proprio perché demotivata, vagano, senza sapere dove andare. Gesù li trasforma in popolo attraverso due gesti: li chiama per nome, affida loro un compito.
Chiamare per nome vuol dire riconoscere chi ci sta davanti: sei qualcuno ma soprattutto sei qualcuno per me. Come dalle tribù esce il popolo d’Israele, da quella folla stanca, Gesù forma la comunità dei discepoli.
Ogni loro nome rimanda ad una storia, un passato, a proprie caratteristiche, possiamo intuire che sono persone molto diverse tra loro, ma chiamate a stare insieme dal compito che è loro affidato. Non sono perfetti, faranno molti errori, arriveranno a tradire il maestro, insomma persone difficili, con molti difetti, eppure nonostante questo, a loro viene affidata una missione.
Dio ci rende migliori nell’invitarci a seguirlo, ma non ci sceglie perché siamo i migliori! Ce lo ricorda S. Paolo in modo molto forte: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
Mentre eravamo ancora peccatori…vuol dire che la sua salvezza ci è stata donata quando avremmo meritato di essere condannati: non ha aspettato la nostra conversione prima di morire per noi! Questo è l’amore: riuscire a voler bene all’altro gratuitamente, e non perché se lo merita.
Gli affida un compito: la missione. La nostra vita acquista un senso quando riconosciamo quale sia il compito che Dio ci affida oggi. Non c’è nessuno a cui Dio non affidi ogni giorno un impegno. Predicare, guarire, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni…a ben guardare sono le cose che farà Gesù!
La missione è continuare a portare Gesù tra la gente, incarnare nella realtà di oggi ciò che Gesù avrebbe fatto.
Dire una parola buona che dia consolazione; guarire le persone dai pensieri di tristezza e di rabbia; aiutare chi è affranto a ritrovare vita; aiutare le persone a rimettere insieme i pezzi cadenti della loro esistenza; allontanare il male con la preghiera e il perdono.
Ecco che la vita diventa restituzione, riconsegnare quello che gratuitamente, e immeritatamente abbiamo ricevuto: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7). Entrando in questa dinamica d’amore, troveremo certamente il senso della nostra vita.
Chiediamoci allora: oggi che compito il Signore mi ha affidato? Come posso provare a restituire quello che ho ricevuto?
Tempo_Ordinario_XI - 18-6