Commento al Vangelo Mc 13,33-37
Siamo alla fine del capitolo 13 di Marco, Vangelo che ci accompagnerà in tutto questo anno liturgico. L’avvento è l’inizio dell’anno liturgico e Marco, autore di questo primissimo Vangelo, il più antico dei quattro, è l’inventore del genere letterario vangelo.
Nel capitolo 13 Marco fa un’operazione un po’ strana. Fino adesso ha raccontato molti fatti e molte parole di Gesù ed ora si sta avvicinando a raccontare la passione. Ma prima di iniziare ciò per cui il Vangelo è stato scritto (cioè annunciare la morte e la risurrezione di Gesù), si ferma un attimo e per tutto il capitolo 13, ci presenta delle scene della fine del mondo, che suonano come se fosse la fine della storia, il giudizio finale. Sono tutte scene che gli ebrei più o meno nel loro linguaggio abituale sapevano interpretare.
Marco in questo capitolo sembra sospendere il tempo e fare una parentesi che anticipa la fine dei tempi, per dire che ciò che sta per raccontare subito dopo (cioè passione, morte e risurrezione del Signore Gesù) è già il compimento della storia, è già la fine dei tempi.
Questo capitolo serve proprio a permettere al lettore o a chi ascolta di entrare veramente lì e stare nel luogo della passione. Marco ci da’ dei dettagli della vita quotidiana degli ebrei (infatti molto probabilmente questo Vangelo è stato scritto a Roma ed era la catechesi per i catecumeni delle della prima comunità cristiana di Roma) per dirci questo: tu lettore che sei a Roma o in qualunque altro luogo e che ascolti questo racconto, in realtà, con il cuore, sei a Gerusalemme appena prima della passione.
Questo testo è straordinario perché è un’immagine, una metafora, che suona come se fosse una piccola parabola che ci insegna cosa è la fine dei tempi.
Marco inizia dicendo: “Fate attenzione!”. Il verbo greco è blepo, osservare con attenzione, guardare bene. E’ un verbo usato anche nella tradizione mistica dell’epoca come verbo dell’illuminazione. Cioè se voi guarderete quello che sto per raccontarvi con gli occhi del cuore, sarete illuminati, vedrete le cose in modo diverso, vedrete la verità profonda delle cose.
Procedendo nella lettura della metafora ci viene detto: è come un uomo che lascia la sua casa e poi torna. Il ritorno è una parola particolare per gli ebrei del tempo di Gesù, perché loro avevano in mente un ritorno ben preciso. Loro ricordavano quando sono ritornati dall’esilio, che fu il trauma più grande della storia d’Israele: furono deportati in Babilonia e per più di cinquant’anni non desideravano altro che tornare a Gerusalemme. Quando sono potuti ritornare è successo che non erano sicuri che Dio fosse veramente tornato con loro. Il padrone di casa che da’ a ciascuno il suo compito, per loro è Dio che deve ritornare nella sua casa, cioè nel suo tempio a Gerusalemme.
In questo punto la parabola tocca direttamente il vissuto esistenziale dell’ascoltatore del I secolo, ma anche il nostro. Anche noi facciamo l’esperienza della sua assenza, ne abbiamo la nostalgia, sappiamo che c’è ma al tempo stesso abbiamo una terribile nostalgia perché non lo vediamo, non lo possiamo toccare. Allora la vita cristiana, la vita del credente è come l’attesa di questo ritorno così desiderato. Il tempo della nostra vita è semplicemente sapere che lui è morto per noi e sapere che risorgerà, che ritornerà. Questa è la fine dei tempi che è stata promessa a tutti.
Qualcuno potrebbe pensare che non incontreremo mai il Signore nella nostra vita qua sulla terra. Qua si apre un’altra pennellata sul testo di questo autore. All’inizio del testo c’è questa frase: “non sapete quando è il momento”. Questa parola “momento” traduce nel testo originale la parola greca kairos. Kairos non è un momento casuale, ma vuol dire il momento favorevole, il momento decisivo.
Si potrebbe pensare che sia la morte o la fine dei tempi. Ma in realtà qua il testo ci porta a pensare che questo momento decisivo si allarga tutta la vita perché c’è una sequenza: non sappiamo se sarà “alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”. Con questa sequenza l’autore geniale Marco ci dice: il momento in cui tu lettore riconosci il Signore che torna, è un momento talmente emozionante, che il Signore stesso te lo fa’ durare tutta la vita. Tutta la vita non è altro che quell’attimo in cui i servi e il portiere riconoscono che il Signore sta tornanado.
E’ bello paragonarlo a quando un ragazzo si trova ad aspettare la sua fidanzata che torna da un lungo viaggio al gate dell’aeroporto e sta lì a guardare le persone che arrivano dal volo e ad un certo punto arriva il momento decisivo, il kairos, l’esplosione dell’emozione, perchè lei è proprio lì che arriva.
Allora questo momento in cui si riconosce l’amore e colui che ci ama, è bellissimo ed il Signore, nella sua bontà, lo fa durare tutta la vita. Tutta la vita non è altro che imparare a riconoscere il Signore che sta arrivando, che ritorna dall’esilio, che ritorna nel suo tempio, che ritorna da quella assenza, da quella lontananza.
Durante questa settimana, nella nostra preghiera potremmo chiederci quali sono stati i segni del suo ritorno. Dove abbiamo percepito e riconosciuto il Signore, dove siamo stati come il portiere della casa. L’architettura di questo testo pone nel nostro cuore questa domanda: come riconosco e in cosa riconosco il Signore che arriva?
Con questa domanda aperta auguriamo a tutti un buon ingresso nell’Avvento!
Tratto dalla trasmissione di Tv2000 – SullaStrada – I Domenica di Avvento – 28 Novembre 2020