Commento al Vangelo Gv 1,6-8.19-28
Questa terza domenica di Avvento abbiamo ascoltato un brano preso dall’inizio del Vangelo di Giovanni. Una ventina di anni dopo il primo Vangelo di Marco, le comunità cristiane ebbero l’esigenza di ricordare e divulgare la parola di Gesù, ripercorrendo la sua vita. Dunque abbiamo il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Luca che introducono racconti dell’infanzia di Gesù, per ricordare che in realtà tutta la sua vita è segnata dalla pienezza della presenza di Dio e della buona notizia agli uomini.
Con Giovanni, il quarto evangelista, si fa ancora un passo in più verso le origini: Gesù, non soltanto è presenza di Dio fin dalla sua nascita, ma è il logos, la parola, la seconda persona della trinità che esisteva da sempre. Infatti nel famoso prologo con cui inizia il Vangelo di Giovanni è scritto “in principio era il verbo”, che traduciamo con la parola greca logos. Notiamo che il simbolo dell’evangelista Giovanni è l’aquila perché sa vedere dall’alto, da più lontano ma in modo migliore. E’ più distante rispetto ai fatti storici ma riesce a distillarne il significato più profondo.
Con l’uso della parola logos, Giovanni si riconnette al contesto intellettuale della sua epoca. Siamo alla fine del I secolo, la civiltà greco-romana ha dato dei pensatori straordinari e il cristianesimo inizia a scontrarsi con le grandi teorie sul mondo. Molte di queste filosofie parlano di un principio causa di tutto e chiave di lettura dell’esistente. In particolare gli stoici, ma anche altre scuole di filosofia, lo chiamano logos.
Giovanni usa parole che anche le altre filosofie del suo tempo usavano: la parola come chiave di lettura di tutto e la luce come rivelazione, ma ci dice che ciò che permette di vivere, il principio, non è altro che la vita stessa dell’uomo Gesù Cristo.
Il brano di questa domenica è solo una parte del grande prologo e in questo punto del testo Giovanni cerca di attualizzare l’uomo Gesù Cristo, mettendolo in un contesto in cui lo possiamo incontrare. Giovanni Battista è colui che è stato inviato da Dio per farci capire che il logos, ovvero la zoè (la vita) o fos (la luce), è entrato nella carne umana; lo abbiamo incontrato e ha camminato nelle nostre strade, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Giovanni Battista è colui che testimonia che possiamo incontrare fisicamente la parola nella vita dell’uomo Gesù Cristo. Johannes, Giovanni, vuol dire “Dio è tenerezza” e tenerezza significa esperienza fisica di Dio. Dunque anche il nome Giovanni annunzia il logos.
Giovanni è indicato come testimone. La parola usata nel testo greco è martis, martire, presa dal vocabolario giuridico ed indica “colui che ha visto”. Allora Giovanni è proprio il testimone oculare, colui che dice ciò che ha visto e per quello che dice lascerà la vita. Il lettore sa già che Giovanni morirà decapitato ed indicarlo come testimone attualizza estremamente il testo del Vangelo. Questo Vangelo è stato scritto nel periodo in cui le comunità cristiane erano più impaurite, alla fine del I secolo, quando l’imperatore Domiziano perseguitava drasticamente i cristiani. Erano tempi difficilissimi, tempi di morte, di smarrimento e di grande paura. Possiamo paragonare quegli anni a quest’epoca strana che stiamo vivendo con la paura per la pandemia. L’autore scrive questo Vangelo per indicarci il comportamento da uomini di fede in tempi di grande paura: siamo testimoni e guardiamo con gli occhi del cuore al Signore Gesù, allora saremo capaci di amare, di donarci, di superare le paure.
E’ interessante anche l’altra parola usata per Giovanni: confessare. “Egli confessò e non negò. Confessò: «io non sono il Cristo»”. Confessare è una parola tecnica nel primo cristianesimo, vuol dire esattamente dichiararsi credente nel momento della persecuzione. I cristiani confessavano la propria fede quando erano arrestati. Con queste due azioni, dare testimonianza e riconoscere che il Signore c’è e che ha vinto la morte, le alte sfere filosofiche del logos entrano direttamente nella vita corrente della comunità, nelle paure, in quello che la comunità è chiamata a fare.
Molto interessante anche notare che questa confessione di Giovanni consiste nel riconoscere di non essere il Signore. Spesso pensiamo che siamo noi a dover risolvere tutto e ci ergiamo come signori della nostra vita. Giovanni dice: “non sono io il Cristo”, non sono Elia, non sono il profeta, sono soltanto il testimone della luce, “io sono voce di uno che grida nel deserto”. Un commento di Sant’Agostino afferma che Giovanni era la voce di quella parola che è il Cristo. Dunque il Cristo è colui che modula la voce di Giovanni. Noi tutti siamo la voce prestata al Signore perché il Signore la moduli e passi attraverso la nostra vita e le dia significato.
L’ultimo elemento interessantissimo di questo testo è il battesimo, termine che viene ripetuto più volte. Alla fine del I secolo, il Vangelo era un testo che si consegnava a coloro che erano stati appena battezzati, per ricordare loro proprio il battesimo di Giovanni e ricordare che il Signore si fa carne ed entra nella vita di ciascuno.
La preghiera che possiamo fare in questa settimana è chiedere al Signore di poter davvero puntare gli occhi del cuore su di lui così da diventare testimoni come Giovanni e lasciarci modulare da Gesù e riconoscere che è il Signore, il Salvatore.
Tratto dalla trasmissione di Tv2000 – SullaStrada – III Domenica di Avvento – 13 Dicembre 2020