IL CRISTIANESIMO ALL’EPOCA DELLA REPUBBLICA DEL BIAFRA

Padre Cornelius ci chiede di pubblicare questo articolo che racconta delle vicende tragiche che hanno coinvolto il Biafra, la sua terra d’origine: lo facciamo volentieri; ci sarà di aiuto per conoscerlo meglio

[Fra Cornelius M. Uzoma è un Giovane frate dell’Ordine dei Servi di Maria, risiede nel convento di Budrio/Bologna. Specializzato in teologia pastorale al Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor Hominis” dell’Università Lateranense di Roma].

Dall’epoca dei primi missionari fino ad oggi, la terra del Biafra viene annoverata tra le zone che contano la maggioranza di cristiani nel continente africano. Riguardo ad essa John Iliffe nel suo libro Popoli dell’Africa e storia di un continente afferma: «Nonostante la forza dell’impatto europeo, le istituzioni e la cultura dell’Africa occidentale riuscirono a contrastarlo fino al tardo XIX secolo. L’esempio migliore ci viene dalla storia delle missioni cristiane. Il Portogallo inviò i primi missionari nell’Africa occidentale nel 1458, detenendo il controllo delle missioni fino al 1622, quando il papato creò la propria agenzia missionaria, la Propaganda Fide, cominciando a inviare missionari non iberici».[1] L’operato delle missioni conobbe un calo durante il XVIII secolo, riprendendo quota dopo il 1800, quando per la prima volta ai missionari cattolici romani si affiancarono quelli protestanti.

La prima presenza cristiana nella terra d’Igbo (Biafra) risale al 1515, quando tre sacerdoti portoghesi arrivarono nel Benin, dopo che un ambasciatore del re del Benin era andato alla corte di Lisbona. Questi furono ricevuti molto bene e rimasero per due anni, ma non lasciarono una impressione duratura. Due frati Agostiniani tentarono una seconda volta nella città di Warri nel 1577. Rimasero soltanto un anno, ma lasciarono un risultato molto importante – battezzarono molte persone, tra le quali l’erede al trono del regno. La presenza cristiana durò altri 200 anni, nonostante la prolungata mancanza di sacerdoti residenti. I Cappuccini spagnoli e italiani rimpiazzarono gli Agostiniani nel secolo successivo, ma nel frattempo gli indigeni erano ritornati alla loro religione tradizionale ed oggi, a ricordarci del passato cristiano del paese, rimangono soltanto alcuni simboli e i nomi.

Che significa Biafra?

Il termine Biafra significa luogo di unità, pace, libertà e gioia per il popolo. Ma prima di tutto vorrei spiegare chi sono i popoli del Biafra e qual è la realtà del cristianesimo in quella terra e nella storia dell’Africa; come già detto, il primo paese europeo ad inviare missionari nella terra del Biafra fu quello dei portoghesi, che non andarono in Nigeria per il semplice fatto che all’epoca non esisteva la Nigeria. La missione dei portoghesi non durò molto e lasciò il popolo del Biafra come l’aveva trovato, sia nel modo di governarsi che nel modo di vivere e di vestire. Intorno all’anno 1886, arrivarono gli inglesi britannici che con mano potente e braccio forte conquistarono la terra del Biafra unificando, senza il consenso del popolo del Biafra, tre repubbliche esistenti e chiamando il nuovo stato Repubblica Confederata della Nigeria. Dobbiamo capire che la Repubblica del Biafra esisteva da 500 anni, ben prima dell’arrivo degli inglesi, prima anche dell’arrivo dei portoghesi che ci hanno poi aiutato durante la guerra civile fra Biafra e Nigeria.

Il Biafra ha scosso emotivamente l’opinione pubblica alla fine degli anni Sessanta. Il nome ancora evoca immagini di bambini emaciati, denutriti, vicini alla morte per fame a causa del blocco imposto dal governo federale nigeriano per porre fine alla secessione della regione orientale. Quel ricordo si è stampato nella memoria di chi era presente e aveva vissuto quei momenti. La Gran Bretagna, ex colonizzatrice della Nigeria e suo principale fornitore di armi, non poteva sfuggire al coinvolgimento. Come crebbe il clamore sulla carestia, il governo di Harold Wilson venne attaccato in patria e all’estero per aver fornito le armi che avevano stretto il cappio sul Biafra.

La guerra iniziò nel 1967. Consultando i documenti del governo di quell’anno, appena concluso, si vede come la decisione di continuare ad armare la Nigeria non fosse basata su argomentazioni a favore o contro la secessione o gli interessi del suo popolo, ma sul supporto al probabile vincitore. Si tratta di un caso di studio di realpolitik. Come si legge in un documento di briefing del Commonwealth Office per il primo ministro: “L’unico immediato interesse britannico è quello di riportare l’economia nigeriana ad una condizione in cui gli interessi degli scambi commerciali e degli investimenti possano essere ulteriormente sviluppati”.

La secessione del Biafra è stato il culmine di un lungo periodo di tensioni e disordini regionali e tribali in Nigeria che si era surriscaldato con l’assassinio nel gennaio 1966 di Sir Abubakar Tafawa Balewa, Primo Ministro, in un tentativo di colpo di stato guidato dal generale Johnson Ironsi. Il nuovo capo militare era un Igbo, il gruppo tribale dominante della regione orientale.

Nel maggio di quell’anno, migliaia di Igbo furono massacrati nella regione settentrionale in scontri contro il regime di Ironsi. Un ulteriore colpo di stato in luglio era stato guidato dal Gen. Yakubu Gowon. Timorosi di ulteriori massacri, gli Igbo dell’Oriente cercarono autonomia sotto il loro governatore militare, Col. Odumegwu Ojukwu. Egli dichiarò l’indipendenza della regione, come stato del Biafra, nel maggio 1967. Come mostrano i più recenti conflitti nell’Europa Orientale, è difficile giudicare quanto giusti o sbagliati siano i timori e gli odi di persone di etnie diverse. In ogni caso, i documenti mettono in chiaro che il bene e il male sono state le ultime cose prese in considerazione Il petrolio, il commercio e la protezione dei cittadini britannici furono gli elementi che prevalsero nel processo decisionale. Se l’allora Ministro degli esteri Robin Cook avesse realmente voluto introdurre una base etica per fare politica, avrebbe dovuto leggere questi documenti che dimostrano come dovrebbe cambiare radicalmente la mentalità dei diplomatici.

Il grosso dei proventi esteri della Nigeria derivava dal petrolio e la maggior parte di esso veniva estratto nella regione orientale (Biafra). La Shell-BP, allora parzialmente controllata dal governo britannico, era il produttore più importante. Dopo la secessione, il Col. Ojukwu pretese che le royalties per la produzione di petrolio fossero pagate al Biafra e non al governo federale. La Shell fu d’accordo di effettuare un pagamento simbolo di 250.000 sterline. Il Commonwealth Office propose in un primo tempo di accettare questa decisione adducendo il motivo che il Col Ojukwu aveva de facto il controllo dei giacimenti di petrolio. Harold Wilson si oppose a questo “Argomento pericoloso – vedasi Rhodesia” come scarabocchiò a margine del documento programmatico. La Rhodesia aveva dichiarato unilateralmente la propria indipendenza nel 1965, ma l’Inghilterra non voleva che fosse riconosciuta, nonostante il controllo de facto.

Il Gen. Gowon impose un blocco sul Biafra, il che significò che il petrolio non poteva essere esportato in ogni caso. Questo fu un duro colpo per l’economia britannica, che già stava vivendo un momento di crisi che portò poi alla svalutazione nel corso dell’anno. A questo punto il primo scopo di Whitehall era quello di ottenere la fine dell’embargo. Un’occasione propizia si presentò agli inglesi quando il Gen. Gowon chiese più armi: 12 bombardieri jet da combattimento, sei motovedette veloci, 24 cannoni antiaerei. George Thomas, allora Ministro presso il Commonwealth Office, fu inviato a Lagos. Una nota rilasciata dal Commonwealth Office a Wilson circa la missione era esplicito: “Se Gowon è disponibile sul petrolio, mr. Thomas offrirà una vendita di cannoni antiaerei.” Il piano andò storto. Il Gen Gowon non volle sollevare il blocco ma ebbe comunque i cannoni; non furono concessi gli aerei e le barche, ma i nigeriani poterono prendere in consegna i due pattugliatori precedentemente ordinati – che per ironia della sorte contribuirono a far rispettare il divieto per la Shell-BP di esportare petrolio.

In agosto i Biafrani ebbero un successo militare (il loro unico successo, come poi si scoprì) quando marciarono verso la regione del Mid-West e occuparono il Benin. Questo provocò un ripensamento a Whitehall. Il Commonwealth Office propose cinque vie. Le opzioni A e B riguardavano il mantenimento o l’aumento delle armi alla Nigeria, C proponeva di interrompere tutte le forniture, D promuoveva una iniziativa di pace mentre l’opzione E era la combinazione delle ultime due. Thomas scrisse a Wilson, che si trovava in vacanza nelle isole Scillies, raccomandandogli l’opzione E. Essa avrebbe potuto prevalere se Sir David Hunt, Ambasciatore Britannico a Lagos e grande sostenitore della causa federale, non fosse tornato in Gran Bretagna per convincere il governo a continuare a fornire armi.

La vittoria arrivò, ma non in modo rapido. Durante il 1967 le parole “carestia” o “fame” non apparvero mai nelle centinaia di documenti ufficiali dedicati al conflitto. Non se ne parlò fino al 1968, quando arrivarono in Biafra i giornalisti, videro e si resero conto di quanto era successo. Ma ormai, la politica si era troppo stabilizzata per poter essere cambiata. Troppe reputazioni dipendevano dal risultato della guerra. Il conflitto andò avanti per altri due anni. Milioni di bambini morirono di fame. Quanti sarebbero ancora vivi se solo si fosse approfittato di quella sottile possibilità nel mese di agosto 1967 e avesse prevalso l’opzione E, E per etica.
Presto la guerra volse in favore di Gowon e nel mese di novembre il flessibile Thomas scrisse di nuovo a Wilson, proponendo questa volta che le forniture di armi fossero intensificate: “Mi sembra che per gli interessi britannici ora sarebbe bene ottenere una rapida vittoria federale”.

La guerra terminò negli anni 70, ma le ferite della guerra non sono ancora guarite nei cuori del popolo del Biafra, che nell’anno 1990 sentì riaffiorare il desiderio di riprendere l’indipendenza. Un gruppo che si chiama il popolo indigeno del Biafra (IPOB) ha preso la decisione di restaurare la Repubblica del Biafra perché niente tra i Biafrani e i nigeriani aveva funzionato bene. Per l’autonomia e l’indipendenza del Popolo dalla confederazione nigeriana, chiedono un referendum per conoscere il desiderio dei popoli, se vogliono rimanere nella confederazione nigeriana o restare un popolo indipendente ed autonomo come erano prima dell’arrivo degli Inglesi.

Cristianesimo d’oggi in Biafra

Attualmente il Cristianesimo nella terra di Biafra è elevatamente forte al 97% ma non esiste una sola forma di Cristianesimo. Pur essendo una religione unitaria, perché unita dalla fede in Gesù Cristo, il Cristianesimo si presenta, infatti, suddiviso in tanti grandi gruppi di chiese principali: il cattolicesimo, il cristianesimo ortodosso e le varie denominazioni del protestantesimo. Ma il popolo di Biafra riconosce Gesù come il Cristo (Messia) attestato dalla Torah e dalla tradizione ebraica e, nella quasi totalità delle sue denominazioni, come Dio fatto uomo.

Concludo, riflettendo sul pensiero di Pier Angelo Piai nell’ambito del cristianesimo d’oggi. Il principio dell’unicità di Dio, della bontà della creazione e dell’amore verso tutti gli uomini porta il Cristianesimo all’idea dell’uguaglianza tra tutti gli uomini e tra i sessi, anche se le diverse forme di Cristianesimo nelle diverse epoche hanno spesso tollerato (come del resto le altre religioni monoteiste) le disuguaglianze sociali, la stratificazione sociale e la subordinazione della donna. Lo scopo della vita dell’uomo, secondo il Cristianesimo, è di partecipare alla vita stessa di Dio. L’uomo non termina il suo destino con la sua morte naturale; egli è destinato ad unirsi con Dio dopo la morte in una condizione di felicità eterna. La possibilità di partecipare alla futura vita divina è subordinata ad un giudizio di Dio che riassume tutta l’intera vita di ogni uomo. Il Cristianesimo ha sempre sostenuto che accanto al premio della felicità eterna sussiste anche la possibilità di una condanna eterna da parte di Dio.

[1] J. Iliffe, Popoli dell’Africa, storia di un Continente, Edizione Bruno Mondadori, 2007, p. 234.